preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Sono diverse e divergenti le opinioni e le chiacchiere della gente circa il Signore oggi come allora. Le riferiscono i discepoli rispondendo alla richiesta di Gesù: "Chi dice la gente che io sia?". Più che le voci discordanti della gente egli vuole però conoscere quella dei suoi discepoli. S'incarica della risposta e fa da portavoce l'apostolo Pietro: "Tu sei il Cristo". Pare che il Signore voglia quasi deviare poi il suo discorso iniziale. Dopo aver raccomandato il momentaneo silenzio su quella rivelazione, in attesa dei tempi in cui tutto dovrà essere rivelato a tutti, comincia "ad insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare". Egli vuole che i suoi siano i primi a comprendere che la vera identità del Cristo e questa è indissolubilmente legata al mistero della sua morte e risurrezione. È davvero difficile ancora oggi capire la morte come strumento di redenzione e di vita. Pietro evidentemente, nonostante la sua bella confessione di fede, non poteva capacitarsi, che il Cristo dovesse subire l'ignominia della morte per mano dei suoi nemici. Non ci sorprende che lo scandalo della croce, crei già negli apostoli, sgomento e paura. L'apostolo quindi era convinto di dover muovere un meritato rimprovero al suo Signore e Maestro, ma Gesù, questa volta respinge le assurde parole di Pietro e, "Guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini". Ci sorprende che colui che con chiarezza aveva riconosciuto il Cristo, subito dopo merito l'appellativo di "satana". Evidentemente la fede di Pietro non era e non poteva essere ancora piena e matura, gli mancava proprio l'esperienza forgiante della croce. Entrare definitivamente nei pensieri di Dio e lasciare quelli degli uomini è frutto della grazia ed è dono dello Spirito. Riconoscere Cristo significa entrare in piena sintonia con la sua storia, con tutta la sua storia, così come Dio l'ha voluta e Egli l'ha vissuta. Questo non solo per avere la pienezza della fede, ma anche per ispirare e conformare la nostra vita alla sua.
«Non è ancora perfetta quella preghiera in cui il monaco ha coscienza di sé e del fatto stesso di pregare».
L'UMILTÀ Il settimo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco, non solo a parole si dichiara l'ultimo e il più spregevole di tutti, ma si ritiene veramente tale anche nel più profondo del cuore, umiliandosi e dicendo col profeta: «Io sono verme e non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo» (Sal 21,7); «mi sono esaltato e allora sono stato umiliato e confuso» (Sal 87,16 Volg.); e ancora: «Bene per me se sono stato umiliato, perché impari ad obbedirti» (Sal 118,71).
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