preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Da diversi episodi del vangelo, sappiamo dell'efficacia del "tocco" della persona di Gesù. Emana da lai una energia divina, salutare, prodigiosa. Egli tocca anche un lebbroso prima di scandire la sua istantanea guarigione. Si lascia toccare furtivamente dalla "emoroissa", che subito viene sanata dal sua male. Molti hanno preso coscienza di quella forza misteriosa che si sprigiona dal Signore. Nell'episodio del vangelo odierno gli viene condotto un cieco con preghiera di toccarlo. Gesù inscena un vero e proprio rito: tocca prima gli occhi del cieco cospargendovi la sua saliva e già questo gesto produce un primo effetto, ma non è ancora la completa guarigione. Impone poi ancora le sue mani su quegli occhi privi di luce e allora finalmente il recupero è totale: "Ci vedeva chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa". Quasi sicuramente il brano di Marco era stato proposto ai primi cristiani, alla sua comunità come una sapiente catechesi, per esprimere verità nascoste nell'episodio narrato. Vuole dire loro che la fede non esplode quasi mai all'improvviso e in tutta la sua intensità e limpidezza, ricevuto il dono, bisogna poi alimentarlo in continuità con le opere, fino a raggiungere la pienezza. Per vedere chiaramente e a distanza occorre che dentro la fede s'immerga la luce, ancora più sfolgorante, dello Spirito Santo. Occorre quindi fare un cammino che suppone una gradualità ed una crescita. Occorre che mai venga meno che la fonte della luce dell'anima e lo stesso Cristo, luce del mondo. Egli aveva dichiarato: "Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita". Quindi la fede non è solo un pensiero, un'idea da conservare nella mente e nel cuore, è piuttosto l'orientamento della vita, la via che ci conduce a Cristo, la sequela che ci induce all'imitazione del modello divino. La cecità dell'anima è più grave e pericolosa di quella del corpo, dovremmo quindi prestare la migliore attenzione per restare costantemente nella luce, per coltivare e vivere la nostra fede, che abbiamo ricevuto in dono sin da giorno del nostro battesimo.
«Abba Poemen disse: "Conosco un fratello a Scete che per tre anni digiunò di due giorni in due giorni, tuttavia non riuscì a vincere. Quando però lasciò stare il digiuno per due giorni interi e cominciò a digiunare solo fino a sera, ma con discernimento, allora riuscì a vincere". Quindi mi disse abba Poemen: "Mangia senza mangiare, bevi senza bere, dormi senza dormire, agisci con te stesso con discernimento, e troverai riposo"».
L'UMILTÀ Il sesto gradino dell'umiltà si sale quando il monaco si accontenta delle cose più povere e spregevoli e in ogni incarico che gli viene affidato si considera un operaio cattivo e indegno, facendo proprie le parole del profeta: «Sono stato ridotto a nulla e sono diventato uno stolto; davanti a te stavo come una bestia: ma io sono sempre con te» (Sal 72,22-23a Volg.).
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