preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Norme e disposizioni liturgiche.
Che cosa è un RITO?
In due parole potremmo rispondere che è il modo di vivere e di celebrare di una Chiesa. Ma comprende anche la sua tradizione, il pensiero teologico e non solo in che modo vengono celebrate le messe e amministrati i sacramenti. Ogni rito ha il suo calendario, ha i suoi propri santi, spesso si serve anche della propria lingua locale, anche se antica e magari non più in uso. Molti sono ancora in uso i riti delle chiese orientali che le caratterizzano...
Noi siamo abituati al rito romano, che si celebra in tutto il mondo, in tutta la Chiesa latina. Ma anche la Chiesa latina, nostra, occidentale, era ricca dei riti. Giusto per nominare qualcuno: rito celtico, gallicano, di Aquileia o rito africano della odierna Tunisia. Era la ricchezza della Chiesa... Anche noi Silvestrini, avevamo un nostro rito silvestrino, con i propri libri liturgici, conserviamo ancora un messale con il rito proprio.
Dopo la riforma del Concilio di Trento, che ha ordinato la celebrazione liturgica in tutta la Chiesa latina, istituendo un solo rito romano, ha comunque promosso in alcune chiese, specialmente ove i riti propri erano molto presenti, la possibilità di conservarli.
Non sono rimasti molti oggi i riti nella Chiesa latina. E forse uno dei più conosciuti, oltre a quello romano, è proprio il rito della Chiesa milanese, detto ambrosiano. Ma è ancora in uso il rito mozarabico in Spagna o l'antichissimo rito della arcidiocesi portoghese di Braga che ha una tradizione risalente al sesto secolo. Oltre ai riti antichi c'è anche un rito di giovane chiesa africana zairese, composto dopo il Concilio Vaticano II, usato non solo in Africa ma anche in Roma, nella chiesa zairese.
Tante volte i nostri lettori ci hanno chiesto se abbiamo pensato anche del rito ambrosiano, oltre a quello romano. E molti, anche se la nostra liturgia, il calendario, i formulari delle messe, ciclo delle letture, non corrispondono a quello celebrato nella Arcidiocesi di Milano, continuano a seguirci sulle nostre pagine.
Oggi vorremmo proporvi un articolo di un giovane studioso proprio di Milano, Prof. Cristian Lanni, che ci descrive il Triduo sacro della Settimana Santa proprio della Chiesa Ambrosiana. Speriamo possa esservi di arricchimento spirituale e non solo di mera conoscenza.
Ecco lo studio del Prof. Cristian Lanni.
Il triduo pasquale è il cuore e vertice della Settimana santa e di tutto l'anno liturgico: «Il triduo della passione e della risurrezione del Signore risplende al vertice dell'anno liturgico, poiché l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero pasquale, col quale, morendo, ha distrutto la nostra morte, e risorgendo, ci ha ridonato la vita».
Le più antiche testimonianze liturgiche ambrosiane indicano i sette giorni precedenti la Pasqua come «Settimana autentica», come a sottolinearne la preminenza nell'anno liturgico, come pure la sua esemplarità o tipicità rispetto a tutte le settimane dell'anno liturgico, nonché il carattere sacrificale che la connota. Questo arco temporale è dunque chiamato «solennità pasquale annuale», "triduo del crocifisso, del sepolto e del risorto" ed anche "triduo pasquale", ad indicare il mistero del passaggio del Signore da questo mondo al Padre.
La celebrazione del triduo pasquale va intesa come un'unica grande celebrazione in più momenti, preceduta dal «prologo» che è costituito dalla Messa in Coena Domini del giovedì santo. L'annuale celebrazione del mistero di Cristo trova il suo fulcro ed il suo culmine proprio nella passione, morte e resurrezione del Signore quale sorgente della grazia divina da cui promana ogni efficacia di Sacramenti e sacramentali. È a motivo di ciò che il triduo pasquale richiede una accurata attenzione nella preparazione, prossima e remota, quanto nella celebrazione dei riti. Infatti, solo o a partire da una maggiore e migliore comprensione della natura, del significato e dell'architettura delle celebrazioni del triduo pasquale sarà possibile dar vita ad una celebrazione davvero espressiva ed eloquente, che offra ai fedeli le ricchezze di cui è portatrice e che, insieme, sia rispettosa della verità dei segni e priva di interventi arbitrari sulla struttura rituale. Per questa via sarà nel contempo possibile guadagnare quella partecipazione piena, attiva e fruttuosa auspicata dal concilio, che non faccia dei fedeli «estranei o muti spettatori».
A questo proposito il presente articolo ha lo scopo di descrivere, nella maniera più dettagliata possibile, la celebrazione dei riti del triduo pasquale nel rito ambrosiano.
Per antichissima tradizione della Chiesa, in questo giorno sono vietate tutte le messe senza concorso di popolo. Sul far della sera, nell'ora più opportuna, si celebra la messa nella cena del Signore, con la partecipazione di tutta la comunità locale; i sacerdoti e i ministri vi svolgono i propri uffici. È concesso ai sacerdoti, che hanno già (con)celebrato nella messa crismale o celebrato messa per utilità dei fedeli, di concelebrare nella messa vespertina. Dove motivi pastorali lo richiedono, l'ordinario del luogo potrà concedere la celebrazione di un'altra messa nelle chiese e negli oratori pubblici o semipubblici nelle ore vespertine e, nel caso di vera necessità, anche al mattino, ma solamente in favore di quei fedeli che in nessun modo possono partecipare alla messa vespertina. Non si possono fare queste celebrazioni a vantaggio di privati o a scapito della messa vespertina principale. La comunione ai fedeli si può dare soltanto durante la messa; ai malati invece si potrà portarla in qualunque ora del giorno.
a. Struttura della celebrazione
La celebrazione vespertina del giovedì santo è inserita nel panorama delle liturgie vigilari ambrosiane, ovvero nella tradizione ambrosiana dei lucernari. Il giovedì santo nella tradizione ambrosiana si presenta come vero ingresso nel primo giorno del Triduo pasquale, giorno della passione del Signore. Il suo ordinamento infra vesperas è noto. Forse sfugge però il carattere vesperale della lunga pericope tratta dal libro di Giona, trattata nel lezionario come prima lettura e la collocazione dell'orazione dopo il salmello. "Vegliate e pregate" fa risaltare la struttura tipica della vigilia. In sostanza il lungo brano riveste il ruolo delle tradizionali quattro letture, a cui seguono epistola e vangelo. Altra particolarità della liturgia vespertina del giovedì santo è la conservazione della salmodia, essendo i vespri della settimana santa privi del Magnificat. Tanto premesso:
il sacerdote e i ministri, indossate le vesti di colore rosso per la messa, si recano all'altare e lo baciano. Il sacerdote alla sede saluta il popolo. A seguito del saluto iniziale il sacerdote saluta con una breve monizione l'assemblea e avvia il rito del lucernario. Mentre si canta il lucernario, il sacerdote accende le candele che gli accoliti gli presentano e che poi mettono sopra la mensa o vicino all'altare. Nel frattempo si accendono le luci in chiesa. Poi il sacerdote, fatta l'infusione dell'incenso, incensa l'altare. A questo punto segue l'inno. A tal proposito accanto alla forma breve prevista dal Messale ambrosiano italiano viene proposta in alternativa la forma integrale dell'inno Magnum salutis gaudium, desunta dal Missale ambrosianum e affiancata dalla traduzione italiana eseguibile in canto. All'inno segue il responsorio, in canto, cui a sua volta segue l'orazione. In conformità al tradizionale ordinamento ambrosiano dei riti vigiliari e per meglio evidenziarne il carattere di lettura vigiliare, è stata prevista la possibilità di omettere l'orazione (in duplice forma) che precede la pericope di Giona, per cantarla o recitarla dopo il corrispondente salmello.
Segue la liturgia della parola. A tal proposito si sottolinea come alle consuete formule di benedizioni sul lettore (tipicamente ambrosiane), vengono aggiunte come opzionali quelle previste dalla Liturgia ambrosiana delle Ore, per l'ufficio delle letture della settimana autentica. Inoltre, l'Ordinamento generale del Lezionario ambrosiano dispone che le letture possano essere proclamate, anziché dall'ambone, da un pulpito monumentale (o storico), purché questo soddisfi tutte le condizioni previste. Quando il libro che contiene i vangeli da proclamare viene collocato sulla mensa sin dall'inizio della celebrazione, durante l'acclamazione al vangelo, dopo che il presidente ha fatto l'infusione dell'incenso, il diacono designato per la proclamazione della passione, accompagnato dai ministri con i cantari e l'incenso, lo preleva dall'altare per recarsi in forma processionale all'ambone. Se già predisposto, invece, si avrà cura di non utilizzare il Libro delle vigilie o il Lezionario, ma esclusivamente l'Evangeliario. A questo punto, in merito alla proclamazione della passione, va sottolineato che, nella tradizione ambrosiana è vietata la «drammatizzazione» propria del rito romano della passione del Signore, predisponendo che un solo ministro (diacono o presbitero) proclami il vangelo. Al venerdì santo questa proclamazione è riservata all'Arcivescovo. Se l'opportunità lo ritiene, per facilitare la partecipazione da parte dell'assemblea, nei punti del testo contrassegnati con un asterisco rosso si potrà inserire durante la proclamazione del passo evangelico un'acclamazione cantata, analogamente a quanto previsto da Paschalis sollemnitatis, n. 84 per il preconio pasquale.
Al termine della proclamazione il ministro bacia l'Evangeliario.
Segue l'omelia come di consueto e successivamente il canto dopo il vangelo, come la liturgia ambrosiana dispone, durante il quale si prepara l'altare. Segue la preghiera dei fedeli. La messa procede come di consueto, con l'accortezza di utilizzare la Preghiera Eucaristica V. per quanto concerne i riti di comunione, dato il carattere introduttivo alle celebrazioni del triduo pasquale, nonché la marcata attenzione alla tematica eucaristica della celebrazione medesima, è suggerita l'opportunità di poter distribuire la comunione sotto entrambe le specie. Alla fine della celebrazione è prevista la riposizione dell'eucaristia, in un luogo precedentemente predisposto – dotato di tabernacolo chiuso – con un sobrio ornamento, in modo da favorire la preghiera e la meditazione dei fedeli. Se l'eucaristia solitamente si conserva in una apposita cappella situata fuori dall'asse principale della chiesa, qui sarà opportuno allestire il luogo della riposizione. Esso – la cui funzione è esclusivamente quella di custodire il pane eucaristico – non dovrà avere forma di luogo di sepoltura o di urna funeraria, né dovrà essere designato come «sepolcro».
b. La lavanda dei piedi
Nella celebrazione del giovedì santo, anche il rito ambrosiano prevede la lavanda dei piedi, tuttavia con delle rilevanti differenze rispetto al rito romano, anzitutto nel divieto di espletare questo rito all'interno della messa in Coena Domini.
La lavanda dei piedi può essere fatta in qualsiasi momento della giornata, anche prima o dopo la celebrazione, mai però durante la messa. Se questo rito precede o segue la messa, si usano i paramenti di colore rosso, altrimenti si usa il piviale di colore morello. Il sacerdote, deposta, se è necessario, la casula, si porta davanti a coloro che sono stati prescelti per il rito, e con l'aiuto dei ministri versa dell'acqua sui piedi e li asciuga. Durante il rito si esegue parte del Salmo 118 con la propria antifona, o altri canti adatti alla circostanza. Se poi, alla lavanda non segue la messa, il sacerdote congeda l'assemblea benedicendola.
Per antica e veneranda tradizione, in questo giorno e nel giorno successivo la liturgia ambrosiana (come anche quella romana) non celebra l'Eucarestia. Si prescrive che nelle prime ore del pomeriggio, ovvero verso le 15,00 si tenga la celebrazione della Passione del Signore. Tuttavia, laddove la necessità (pastorale) lo rendesse veramente opportuno è possibile posticipare la celebrazione fino e non oltre le ore 21,00. La Feria Sexta in Parasceve, ovvero il venerdì santo della liturgia ambrosiana ha una struttura del tutto peculiare che la rende assolutamente unica nel panorama liturgico, fra tutti i riti occidentali. Viceversa si può considerare, per taluni aspetti affine alla liturgia bizantina. Coerentemente con tutti i venerdì quaresimali, la liturgia ambrosiana, anche per il venerdì santo, prevede una feria anaeucaristica, ovvero con la totale assenza del mistero eucaristico e qualsiasi forma di comunicazione tanto del popolo quanto del celebrante. Il colore liturgico è il rosso, che sottolinea l'aspetto sacrificale e non luttuoso, come tiene a chiarire padre Giustino Borgonovo nel suo manuale. Per essere precisi, però, i riti di questo giorno iniziano al pomeriggio del giorno precedente con il canto anticipato dei Mattutini, contenenti le tre Passiones che non verranno lette nella funzione solenne del venerdì. L'ufficio delle Tenebrae è completamente sconosciuto nel rito ambrosiano. Alla mattina del "Grande Venerdì", dunque, si canta l'ufficio della Parasceve vero e proprio. L'intero rito è molto esteso, comprendendo ben quattro ore liturgiche nella loro interezza, due catechesi, la Passione e l'adorazione della Croce. Pertanto, è prassi consentita l'omissione di talune parti, come Terza all'inizio o i Vespri alla fine.
a. La struttura della celebrazione
La celebrazione, nella tradizione, inizia con il canto di Terza.
Il sacerdote e il diacono rivestono rispettivamente il piviale e la dalmatica di colore rosso. Preceduti dai ministranti e dal clero, si recano all'altare e, fatta la debita riverenza, si portano alla sede. La liturgia prosegue con il rito del Lucernario, mentre si canta il quale, il sacerdote accende le candele che gli accoliti gli presentano e che poi mettono sopra la mensa o vicino all'altare. Nel frattempo si accendono le luci in chiesa. Poi il sacerdote, fatta l'infusione dell'incenso, incensa l'altare. All'inno succedente il lucernario (Vexilla Regis) segue la prima lezione dal profeta Isaia da parte di un diacono parato da messa, ovvero ove vi fosse clero sufficiente dal presbitero minore in dignità. O ancora, in sua assenza da un chierico. Segue il salmello (foderunt manus meas) e l'orazione, possibilmente in canto. Con le modalità della prima è letta la seconda lezione del profeta Isaia, cui segue il canto del responsorio tenebrae factae sunt, che nella metropolia è intonato dall'Arcivescovo. In luogo di questo responsorio è consentito l'uso del turibolo. Il diacono che deve proclamare la Passione del Signore si porta all'ambone, accompagnato, secondo l'opportunità, dai ministri con l'incenso, con il turibolo e con i candelieri. Ivi, rivolto verso il Presidente, chiede la benedizione. Le rubriche prescrivono che per sottolineare l'importanza del momento, la processione con l'Evangeliario può essere fatta solennemente, partendo dalla sacrestia. All'annuncio della morte (emisit spiritum) il canto è interrotto. Tutti si inginocchiano, si spengono le candele e le luci, si spogliano gli altari e, mentre la campana annuncia la morte del Signore, ci si sofferma qualche istante in meditazione. Quindi il diacono, o il sacerdote, riprende la proclamazione a voce sommessa. A conclusione si omette la chiosa "Parola del Signore". Segue l'omelia.
La memoria della passione di Cristo diviene ora venerazione della croce. Mediante il sacrificio di Gesù, da strumento di morte essa è divenuta sorgente di vita, che dona redenzione, riconciliazione e salvezza a tutti gli uomini. La triplice presentazione della croce, seguita dal canto del Salmo 21, non rappresenta solo l'invito a contemplare «colui che hanno trafitto»: riconsegnata ai fedeli, essa ne suscita anche la serena gratitudine per il dono ricevuto. È il momento dell'adorazione della Croce.
Il presidente canta l'orazione, poi si snoda la processione con la Croce, portata da due ministri in sacris. La processione incede verso l'altare, ma si ferma per tre volte (solitamente in fondo alla chiesa, a metà navata e poco prima dell'altare). Il celebrante canta per tre volte in tono crescente "Ecce lignum Crucis, in quo salus mundi pependit", alle parole di risposta "Venite, adoremus" (e non dopo, ma intanto) chi ha in mano la Croce la eleva, e tutti i presenti genuflettono verso di essa. Infine la croce viene deposta sui gradini dell'altare. Il sacerdote celebrante e il clero fanno adorazione con tre genuflessioni, a debita distanza l'una dall'altra, prima di giungere a baciare la croce. Intanto, alternandole con il Salmo 21, si cantano le antifone previste.
L'ultimo momento è quello della preghiera universale. Un diacono, o un altro ministro, all'ambone legge l'intenzione di preghiera. Poi il sacerdote, dopo un breve momento di silenzio, con le braccia allargate, dice l'orazione. Se vi sono parecchi sacerdoti, le orazioni possono essere lette a turno a fianco dell'altare; la conclusione sarà del sacerdote che presiede la celebrazione. Per tutto il tempo della preghiera universale, i fedeli possono rimanere in ginocchio o in piedi. In caso di grave necessità pubblica, l'ordinario del luogo può permettere o stabilire che si aggiunga una speciale intenzione. Nel messale vengono proposte undici orazioni con annesse monizioni; al sacerdote è permesso scegliere quelle orazioni che sono più adatte alla situazione concreta della comunità locale, in modo però che sia rispettata la serie delle intenzioni proposte per la preghiera universale.
b. Celebrazione vespertina della deposizione del Signore
Fin dalla sua origine, la commemorazione della deposizione e sepoltura del Signore, ovvero quel momento rituale della celebrazione del venerdì santo presente a Gerusalemme già nel IV secolo, e dalla città santa derivato a una pluralità di Chiese, tra cui quella ambrosiana, s'incentra sulla pericope di Matteo 27, 57-61, grazie alla quale prosegue la proclamazione degli eventi del Calvario. La liturgia della Parola, che ne costituisce l'elemento principale e che — tramite le pericopi tratte dal libro di Daniele — allude al mistero della discesa del Cristo agli inferi, si pone come momento cultuale per la sera del Venerdì santo. Con esso — senza pregiudizio della principale azione liturgica del giorno, che è la solenne celebrazione della Passione del Signore, verso la quale tutto deve convergere e dalla quale tutto trae alimento — sarà possibile concludere eventuali altre riunioni di preghiera comunitaria, integrandole nell'ordinamento liturgico del Triduo pasquale. Il sacerdote e i ministri indossano, come prescritto, le vesti liturgiche di colore rosso. La celebrazione è strutturata nel modo che segue:
I. Il saluto iniziale: Il celebrante si reca all'altare, fa la riverenza, si porta alla sede e saluta il popolo. Quindi il sacerdote, o un altro ministro, introduce la celebrazione con una breve monizione introduttiva.
II. Si noti che, le norme liturgiche ambrosiane prevedono che quando, per motivi pastorali, successivamente alla solenne azione liturgica in Passione Domini, vi fosse la necessità di prevedere un ulteriore momento di contemplazione della Passione, morte e sepoltura del Signore, alla liturgia della Parola si può premettere la contemplazione della Croce, accompagnata dal canto di un Inno adatto. Durante l'inno, secondo l'opportunità, il sacerdote celebrante si pone davanti alla croce insieme agli altri ministri. Al termine dell'inno, insieme ad essi compie un gesto di venerazione, poi si reca alla sede. Dopo il sacerdote e i ministri, anche il popolo compie un gesto di adorazione della croce, secondo l'uso del luogo. Intanto si cantano o si recitano i responsori indicati dalle rubriche liturgiche, sostituibili con il Salmo 87. al termine il Presidente canta (o recita) l'orazione prevista dal rito.
III. Liturgia della Parola. Le due letture e il cantico, tratte dal libro del profeta Daniele, narrano della pretesa di Nabucodònosor di essere adorato come Dio. Il progetto è avversato da tre giusti ebrei, certi che il regno di Dio e la promessa della sua gloria rimangono stabili per sempre, e pronti a difendere la propria libertà anche a prezzo della vita. Nei tre giovani liberati dalla fornace di Babilonia per la propria fedeltà a Dio, la tradizione cristiana vedrà la figura di Cristo, preservato dalla corruzione della morte per la sua fedeltà e obbedienza al Padre. Si noti che, il lettore, recatosi all'ambone esegue la lezione senza chiedere la benedizione. Al termine è omessa la chiosa "Parola di Dio".
IV. La Passione del Signore. Dopo aver eseguito un canto adatto, il diacono, oppure il sacerdote che deve proclamare la Passione del Signore, si porta all'ambone da solo e, senza chiedere la benedizione, proclama il vangelo, omettendo il saluto all'inizio. All'annuncio del titolo non si risponde: Gloria a te, o Signore. Il passo evangelico fa memoria del primo degli avvenimenti seguiti alla morte di Gesù: la sua deposizione nel sepolcro di Giuseppe di Arimatea. Il santo padre Ambrogio così invita a contemplare questo evento: «Il sepolcro viene predisposto per quanti stanno sotto la legge della morte, ma il vincitore della morte non ha un sepolcro proprio. Che rapporto ci potrebbe essere tra un sepolcro e Dio? Se la morte è comune a tutti, la morte di Cristo è unica». Le norme prescrivono che: «Si omette la conclusione Parola del Signore. Alla lettura del vangelo può lodevolmente seguire l'omelia, che aiuti la ri flessione spirituale sul mistero della Passione del Signore, contemplando la sua immolazione totale fino al sepolcro. Al termine della proclamazione del vangelo o dopo l'omelia, lasciato un congruo spazio di silenzio, il sacerdote dice: Benedetto il Signore, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.».
V. Riti di conclusione: il Presidente, dalla sede, recita l'orazione e congeda l'assemblea con la formula prevista dal rituale.
Nella tradizione ambrosiana possiamo distinguere due momenti celebrativi, quello del mattino e quello della veglia, già Pasqua di Resurrezione. Resta ferma la prescrizione anaeucaristica.
a. Al mattino
La celebrazione mattutina del Sabato santo ambrosiana – che conosce, nell'antica liturgia della Chiesa di Gerusalemme, un corrispondente rito per «il giorno seguente la Parasceve» – ha al centro la memoria della custodia del sepolcro del Signore narrata dalla pericope di Matteo 27, 62-66, in attesa della risurrezione celebrata nella liturgia notturna pasquale. In ossequio alla raccomandazione di celebrare l'ufficiatura mattutina con la presenza del popolo, la liturgia del Sabato santo potrà essere opportunamente raccordata con l'Ufficio delle letture o le Lodi mattutine, o con eventuali altre forme di preghiera comunitaria. Il sacerdote e i ministri indossano, come prescritto, le vesti liturgiche di colore rosso.
I. Riti di introduzione. Il celebrante si reca all'altare, fa la riverenza, si porta alla sede e saluta il popolo. Poi lo esorta con una monizione introduttiva.
II. Liturgia della Parola. Un lettore annuncia la lezione di Genesi all'ambone, senza chiedere la benedizione. Nel racconto biblico del diluvio l'autore sacro mostra la giustizia e la misericordia di Dio di fronte all'umanità corrotta. La sua iniziativa non solo ricrea un'umanità nuova, ma accorda il perdono al giusto e, per mezzo di lui, promette una definitiva alleanza col cosmo e con l'uomo. La tradizione cristiana ha letto il diluvio come figura del battesimo, nel quale ci è donata la salvezza: nel diluvio è prefigurato il battesimo, perché, oggi come allora, l'acqua segnasse la fine del peccato e l'inizio della vita nuova. Al termine, le norme prescrivono di omettere la chiosa "Parola di Dio". segue il salmello previsto dal rituale.
III. Passione del Signore. Senza eseguire alcun canto il diacono, oppure il sacerdote che deve proclamare la Passione del Signore, si porta all'ambone da solo e, senza chiedere la benedizione, proclama il vangelo, omettendo il saluto all'inizio. All'annuncio del titolo, le norme prescrivono che non si risponda: Gloria a te, o Signore. Il brano evangelico secondo Matteo prosegue la memoria degli avvenimenti seguiti alla morte di Gesù, narrando di quelli intercorsi fra la sua deposizione nel sepolcro e la risurrezione: l'apposizione dei sigilli e la sorveglianza della tomba ordinate dal sinedrio. Alla lettura del vangelo può lodevolmente seguire l'omelia, che prepari alla celebrazione della veglia pasquale. Al termine della proclamazione del vangelo o dopo l'omelia, lasciato un congruo spazio di silenzio, il sacerdote dice: «Benedetto il Signore, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen». Si noti che le norme liturgiche prescrivono che quando vi sono dei «competenti» o eletti adulti, candidati a ricevere i sacramenti dell'iniziazione cristiana durante la veglia pasquale, e se essi si radunano il Sabato santo per prepararsi nella meditazione e nella preghiera, si celebrano a questo punto i Riti immediatamente preparatori. Nel caso del battesimo dei bambini, i riti di accoglienza, che si celebrano prima della veglia pasquale, in tempo e luogo opportuni .
IV. Riti di conclusione. Il Presidente dalla sede recita l'orazione e congeda il popolo con la formula prevista dal rituale.
Le norme liturgiche prescrivono chiaramente che l'intera celebrazione della veglia pasquale debba svolgersi di notte: essa quindi deve cominciare dopo l'inizio della notte e terminare prima dell'alba della domenica. La messa della notte, anche se celebrata prima della mezzanotte, è la messa pasquale della domenica di risurrezione. Coloro che partecipano alla messa della notte possono di nuovo ricevere la comunione nella seconda messa di Pasqua. Chi celebra o concelebra la messa della notte può celebrare o concelebrare la seconda messa di Pasqua. Il sacerdote e i ministri indossano le vesti di colore bianco prescritte per la messa.
La veglia è composta da vari momenti.
I. La benedizione del fuoco.
Va anzitutto sottolineato che nella liturgia ambrosiana è facoltativa. Può avvenire in sacrestia o nel luogo che le circostanze rendono più opportuno. Si benedice un fuoco o, meglio, un lume già acceso. Se il fuoco o la lampada non fossero già accesi, si attinga la fiamma preferibilmente a uno dei lumi che ardono presso il luogo della riposizione. Riprendendo un gesto caro alla tradizione giudaica e alla liturgia della comunità cristiana di Gerusalemme, viene benedetta una fiamma, alla quale saranno accesi il cero pasquale, le candele dei ministri e, poi, tutte le luci della chiesa. È la luce che sostiene e illumina la veglia in attesa del Risorto e guida il passo verso l'incontro con Lui nel «giorno nuovo» di Pasqua e nell'«ultimo giorno» della piena realizzazione del disegno di Dio. Le rubriche liturgiche, infatti prescrivono così: «Al nuovo fuoco, o al lume, si accendono subito il cero pasquale e i cantari. Ci si reca all'altare nel seguente ordine: precedono i ministranti con turi bolo fumigante e incenso; seguono il ministro che porta il cero pasquale tra due accoliti con i cantari accesi, il diacono con il libro del preconio e, ultimo, il celebrante»
II. Solenne inizio della veglia o Lucernario.
Mentre la processione, che dovrà essere particolarmente solenne, avanza, vengono accese le candele e le luci della chiesa. Giunti all'altare, se non è avvenuta la benedizione del fuoco, il Presidente saluta con il segno di Croce. Qualora invece fosse già avvenuto il rito di benedizione del fuoco, saluta con la formula "Il Signore sia con voi". Se a presiedere è un Vescovo usa la formula sua propria "La pace sia con voi". A questo punto uno dei ministri o nel caso il Presidente, illustra con una breve monizione il rito della veglia con parole adatte (nel caso già suggerite dal rituale).
III. Preconio.
Il diacono che deve proclamare il preconio si reca all'ambone, accompagnato dai ministri con il turibolo, con l'incenso e con i candelieri. Ivi, rivolto verso il sacerdote, chiede la benedizione dicendo a chiara voce la formula. In assenza di un diacono, le norme prescrivono che il sacerdote celebrante oppure un concelebrante si rechi all'ambone per la proclamazione del preconio. Se necessario, in mancanza del diacono, qualora anche il sacerdote celebrante non possa proclamarlo, venga affidato a un cantore.
Il preconio è un antico poema che funge da prologo alla veglia pasquale. All'invito universale ad unirsi all'esultanza e al rendimento di grazie fa seguito la contemplazione della Pasqua-passione di Cristo, vero agnello pasquale. L'efficacia salvifica del suo sacrificio è comunicata ai credenti nei sacramenti del battesimo e dell'eucaristia. Ma sarà lo sviluppo dell'intera veglia a manifestare che il mistero della salvezza si è definitivamente compiuto in Cristo.
La lettura avviene previa incensazione da parte del diacono o del ministro e con il popolo in piedi.
IV. Catechesi veterotestamentaria.
In questa veglia, «madre di tutte le veglie», vengono proposte nove letture, cioè sei dell'Antico Testamento e tre del Nuovo Testamento. Se le circostanze pastorali lo richiedono, il numero delle letture dell'Antico Testamento può essere ridotto ; è comunque prescritto di aver sempre presente che la lettura della parola di Dio è parte fondamentale della veglia pasquale. Prima di incominciare la lettura della parola di Dio, il sacerdote, o un altro ministro, si rivolge all'assemblea esortandola con una breve monizione. Un lettore si porta all'ambone e proclama la prima lettura; tutti ascoltano seduti. Prima di annunziare il titolo della lettura che sta per proclamare, inchinato verso il sacerdote, il lettore chiede la benedizione, dicendo a chiara voce la formula.
Le prime quattro letture della catechesi biblica ci presentano tre delle «quattro notti (pasquali) del mondo», nelle quali Dio ha manifestato la sua salvezza. «La prima notte fu quella in cui Dio si manifestò sul mondo per crearlo: il mondo era deserto e vuoto, e la tenebra era diffusa sulla superficie dell'abisso. La parola di Dio era luce e illuminava; ed egli la chiamò "prima notte"». Secondo i Padri della Chiesa, inoltre, Pasqua e creazione sono collegate: la Pasqua del Signore viene infatti celebrata in primavera, la stagione nella quale Dio creò il cielo e la terra. Segue il salmello. Quest'ultimo oppure, quando occorrono, il cantico o il canto può essere sostituito con un momento di sacro silenzio. Poi tutti si alzano, il sacerdote invita alla preghiera, aggiungendo, secondo l'opportunità, una breve monizione, che può anche essere affidata al diacono; poi tutti pregano per breve tempo in silenzio. Se il salmo responsoriale è stato sostituito con un momento di silenzio, si tralascia la pausa silenziosa dopo l'oremus. Segue l'orazione e poi l'altra lezione del sacrificio di Abramo con le medesime modalità della prima. La seconda notte fu quando Dio si manifestò ad Abramo, vecchio di 100 anni e a Sara, sua moglie, di 90 anni, perché si compisse quanto dice la Scrittura. E Isacco non aveva 37 anni quando fu offerto sull'altare? I cieli si sono curvati e sono discesi, e Isacco ne vide le perfezioni e i suoi occhi furono accecati in seguito alla vista delle loro perfezioni; ed egli la chiamò "seconda notte". Nella lettura cristiana, Isacco è «parabola» di Cristo: non solo egli stesso portò sul monte Moria la legna per l'olocausto e fu offerto da Abramo in sacrificio a Dio, ma da Dio Abramo riebbe il suo unico figlio. La terza lezione, di Esodo, è quella dell'Agnello pasquale: mediante il sacrificio dell'agnello e la consumazione degli azzimi, ogni anno Israele commemorava, nella notte di Pasqua, gli eventi dell'esodo. La Chiesa rileggerà la Pasqua giudaica alla luce di Cristo e, insieme, interpreterà la vicenda di Cristo attraverso il rito pasquale. Con la croce di Cristo la pasqua antica ha raggiunto la pienezza di significato e di efficacia salvifica: «Al posto dell'agnello è venuto il Figlio e al posto della pecora l'uomo, e nell'uomo Cristo, che tutto contiene. L'uccisione della pecora e il sacrificio dell'agnello e la scrittura della Legge hanno trovato il loro compimento in Cristo». La quarta lezione, di Esodo, è il cosiddetto passaggio pasquale. Secondo la tradizione ebraica, il Messia verrà nel cuore della notte, come al tempo dell'esodo, quando Israele uscì dall'Egitto: «La terza notte fu quando Dio si manifestò contro gli Egiziani a mezzanotte: la sua mano uccideva i primogeniti degli Egiziani, e la sua destra proteggeva i primogeniti di Israele per compiere la parola della Scrittura: Israele è il mio figlio primogenito; ed egli la chiamò "terza notte"». Nella pasqua vista come passaggio dalla schiavitù alla libertà, la tradizione cristiana rileggerà il passaggio di Cristo dalla morte alla vita, «da questo mondo al Padre».
Gli ultimi due passi della catechesi biblica sviluppano il tema della nuova alleanza e del perdono dei peccati. Descrivendo la nuova Gerusalemme, Isaia invita tutti gli uomini a partecipare gratuitamente dei beni di salvezza e a convertirsi. Egli annuncia l'irrevocabile volontà di Dio di stabilire un'alleanza eterna, che renda nuovamente attuale per Israele e per tutti gli altri popoli il patto stretto con Davide. L'annuncio profetico, che reca in sé la potenza della parola di Dio, si compirà in Cristo: in lui, morto e risorto, nasce un popolo nuovo, erede della promessa di Abramo e dei privilegi dell'Israele storico. Inizia il tema la quarta lezione tratta dal profeta Isaia. Richiamando con forza l'esigenza di un nesso profondo tra fede e vita, tra celebrazione del culto ed esercizio della giustizia, il profeta Isaia, nella sesta lezione, invita al pentimento e alla conversione: solo così Israele sarà ristabilito nella sua vera relazione con Dio, ottenendo da lui la salvezza e il perdono dei peccati. La Chiesa di Milano rileggerà in questa profezia un invito alla prima pasqua del credente, il battesimo. In esso moriamo al peccato e la nostra vita antecedente viene sepolta con Cristo, per risorgere con lui a vita nuova ed entrare nella nuova alleanza.
V. Annuncio della Resurrezione.
Preparati dalla meditazione del preconio e dall'ampia catechesi biblica, sostenuti e guidati dalla luce del cero pasquale, i nostri cuori sono pronti ad accogliere la manifestazione gloriosa di Cristo. Il triplice canto del sacerdote squarcia il silenzio e pone fine alla nostra attesa, proclamando in tutte le direzioni della terra lo splendido annuncio che Dio ha risuscitato Gesù dai morti: egli è vivo e nuovamente presente in mezzo a noi.
Il Presidente si porta alla sinistra dell'altare e canta «Cristo Signore è Risorto!» e l'assemblea risponde «Rendiamo grazie a Dio». E subito si suonano le campane e l'organo. Ripete lo stesso annunzio della risurrezione al centro e al lato destro dell'altare, con un tono sempre più alto. Poi ritorna alla sede e recita l'orazione. Quindi si proclamano entrambe le letture neotestamentarie che precedono il vangelo oppure soltanto una di esse.
VI. Liturgia della Parola.
Si esegue la lezione della prima grande proclamazione a Israele della risurrezione e della fede cristiana da parte di Pietro: Gesù, l'uomo inviato e accreditato da Dio, ma ucciso dagli uomini sulla croce, è stato risuscitato da Dio. In questo evento si compie l'annuncio della Scrittura e Dio manifesta la sua azione di salvezza.
Un lettore si porta all'ambone e proclama la lettura; tutti ascoltano seduti. Prima di annunziare il titolo della lettura che sta per proclamare, inchinato verso il sacerdote, il lettore chiede la benedizione, dicendo a chiara voce la formula. Alla prima lezione segue il salmo responsoriale e poi la l'epistola: presentandosi ai cristiani di Roma come inviato a proclamare il vangelo di Dio e sottomettere ad esso tutti gli uomini, l'apostolo Paolo dichiara di annunciare il mistero di Gesù Cristo, il Figlio di Dio divenuto uomo e costituito Messia e salvatore in forza della sua risurrezione. Anche il secondo lettore procede nella medesima maniera del primo.
Segue la proclamazione del Vangelo. Durante questo canto, se si usa l'incenso, il sacerdote lo pone nel turibolo. Il diacono che deve proclamare il vangelo si porta all'ambone, accompagnato, secondo l'opportunità, dai ministri con l'incenso, con il turibolo e con i candelieri. Ivi, rivolto verso il sacerdote, chiede la benedizione, dicendo a chiara voce la formula. Se non è presente il diacono, il sacerdote celebrante , inchinandosi dinanzi all'altare, dicendo sottovoce la formula prescritta dal rituale. Poi si reca all'ambone, eventualmente accompagnato dai ministri con l'incenso. La proclamazione degli eventi pasquali secondo Matteo prosegue, presentandoci gli eventi accaduti il «primo giorno dopo il sabato», con la scoperta del sepolcro vuoto e l'annuncio della risurrezione di Gesù alle donne.
Alla fine della proclamazione il ministro bacia l'evangeliario. Segue l'omelia.
VII. Liturgia battesimale.
Questa liturgia può aver luogo secondo varie possibilità:
- con la presenza del battesimo di adulti o fanciulli in età da catechismo.
- Con la presenza del battesimo di adulti e fanciulli in età da catechismo e bambini;
- liturgia battesimale senza conferimento del sacramento, ma con la benedizione del fonte per le chiese parrocchiali o dell'acqua lustrale per le chiese non parrocchiali.
a. Conferimento del battesimo ad adulti e fanciulli di età del catechismo.
Dopo l'omelia, il sacerdote con i ministri va al fonte battesimale, se questo è in vista dell'assemblea dei fedeli. Altrimenti si colloca in presbiterio un bacile con l'acqua da benedire. I catecumeni adulti vengono chiamati per nome e presentati dai loro padrini alla comunità riunita. Il sacerdote, o un altro ministro, si rivolge ai presenti con un'esortazione. Se la processione al battistero fosse piuttosto lunga si esegue qualche canto adatto durante il tragitto; in tal caso l'appello dei battezzandi verrà fatto prima della processione.
L'acqua è l'elemento che Dio ha usato molte volte per manifestare il suo intervento nella storia. Ora preghiamo perché Dio doni all'acqua che sarà benedetta la stessa efficacia e ripeta il suo gesto di salvezza per i nostri fratelli che stanno per ricevere il battesimo e li faccia rinascere dall'acqua e dallo Spirito santo.
La liturgia segue la struttura che segue: benedizione dell'acqua secondo la formula prevista dal rito, conferimento del battesimo ,
Celebrato il rito battesimale si procede all'aspersione: l'aspersione con l'acqua benedetta è invito per ciascuno di noi a fare memoria del battesimo che abbiamo ricevuto e a custodire la vita nuova che ci è stata donata. Il sacerdote asperge il popolo con l'acqua battesimale passando attraverso la navata, mentre tutti cantano un canto adeguato; se si fa la processione dal battistero all'altare o, se si porta l'acqua battesi male, dall'altare al battistero si canta il salmo 31.
b. Confermazione.
La celebrazione della confermazione si può fare o nel presbiterio o nello stesso battistero, come suggeriscono le circostanze locali. Se il battesimo è stato conferito dal vescovo, è opportuno che sia lo stesso vescovo ad amministrare anche la confermazione. In assenza del vescovo, la confermazione può essere amministrata dal sacerdote che ha conferito il battesimo. Quando i confermandi sono molto numerosi, al ministro della confermazione si possono associare, nell'amministrazione del sacramento, sacerdoti idonei a questo ministero.
I battezzati ricevono la confermazione. Dopo avere implorato l'effusione dello Spirito e invocato sui cresimandi la pienezza dei doni di Dio, essi riceveranno l'unzione con il crisma: è il sigillo che Dio pone sui battezzati, ora più profondamente configurati a Cristo e abilitati ad essere nel mondo testimoni del Risorto. Il saluto di pace ne esprime l'accoglienza come membri attivi della comunità cristiana, insieme alla quale potranno partecipare al banchetto eucaristico. La liturgia si snoda nel modo che segue: esortazione del Presidente, imposizione delle mani e crismazione . Le rubriche prescrivono che: se altri sacerdoti sono associati al celebrante nel conferimento del sacramento, il vescovo, se è presente, consegna a ciascuno i vasetti del sacro crisma. I confermandi si avvicinano al celebrante o ai sacerdoti; oppure, secondo l'opportunità, il celebrante e i sacerdoti si avvicinano ai confermandi che ricevono l'unzione nel modo sopra descritto. Durante l'unzione si può eseguire un canto adatto.
Il presidente torna alla sede, la funzione prosegue e in luogo della preghiera dei fedeli si cantano le Litanie dei Santi.
Le altre tipologie si svolgono in maniera simile, esplicata dal rituale. Qualora vi fosse il battesimo dei soli bambini si ometterà il rito di crismazione.
c. Benedizione del fonte o dell'acqua lustrale.
Dopo l'omelia, il sacerdote con i ministri va al fonte battesimale. Il sacerdote, o un altro ministro, si rivolge ai presenti con un'esortazione. Se la processione al battistero fosse piuttosto lunga si esegue qualche canto adatto durante il tragitto.
L'acqua è l'elemento che Dio ha usato molte volte per manifestare il suo intervento nella storia. Ora preghiamo perché il Signore benedica e doni la stessa forza salvifica all'acqua del fonte battesimale, perché tutti coloro che in essa sono resi partecipi della morte e risurrezione di Cristo siano purificati dal peccato e rinascano alla vita nuova dei figli di Dio, con queste premesse e disposizioni d'animo il Presidente proclama la formula di benedizione dell'acqua.
Compiuta la benedizione dell'acqua, tutti, in piedi, rinnovano le promesse del loro battesimo. Compiuto il rinnovo segue l'aspersione: con l'acqua benedetta è invito per ciascuno di noi a fare memoria del battesimo ricevuto e a custodire la vita nuova che ci è stata donata.
Il Presidente torna alla sede e la funzione prosegue con la preghiera dei fedeli.
La messa prosegue con la Liturgia Eucaristica, more solito.
La lettura organica delle norme liturgiche concernenti i riti del Triduo pasquale ambrosiano lascia certamente spazio alla comprensione del simbolismo luce/tenebre che sempre contraddistingue le grandi celebrazioni del Triduo.
"Dio mio rischiara le mie tenebre" si canta durante il lucernario della messa vespertina in Coena Domini che dà inizio al giorno della passione. Le tenebre del male, del dolore e della morte rimangono però sempre in agguato, come i giorni drammatici che stiamo vivendo ci stanno insegnando; noi chiediamo dunque al Signore di illuminarci con la sua grazia, quando si apre il giorno di passione, la sera del giovedì, e quando la liturgia ci conduce presso la croce a contemplare la morte di Gesù. Quasi come monito l'inno vespertino del giovedì santo ci richiama che mercator ille pessimus solem tenebris vendidit (Giuda, quel mercante pessimo, vendette il sole alle tenebre). Significativamente allora nell'orazione che conclude l'Eucaristia, imploriamo "di non essere coinvolti nelle tenebre del discepolo infedele, ma di riconoscere in Cristo il nostro Salvatore". Il simbolismo liturgico ci permette di entrare nel dramma, racchiuso nelle parole con le quali l'evangelista Matteo descrive il comportamento dei discepoli nell'ora decisiva per Gesù: "tutti, abbandonatolo, fuggirono". La nostra fedeltà è continuamente minacciata dalle debolezze e dalle miserie che ci contraddistinguono. "Non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? – dice Gesù ai suoi - Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole": parole del vangelo della messa vespertina in cena Domini che echeggiano nei canti. A ben vedere, già nella vicenda di Giona, narrata nella lettura veterotestamentaria, si coglie molto nitidamente il contrasto tra l'agire di Dio e quello dell'uomo. Davanti alla disponibilità senza limiti del Signore nei riguardi delle sue creature, il profeta si ribella. Cerca prima di sottrarsi all'opera di salvezza a cui Dio lo chiama e, nonostante il bene sperimentato nelle sue vicissitudini, arriva a indispettirsi per la pietà provata da Dio nei riguardi degli abitanti di Ninive che si convertono. Il cuore dell'uomo diviene, talvolta, inspiegabilmente duro, incapace di stupore, chiuso nel proprio egoismo. Eppure Dio non smette di attirarlo a sé. Persino quando l'uomo non è disponibile alla comunione con lui, la forza dell'amore di Dio non si arrende. Emblematica appare, ai nostri occhi, in questa dinamica di tenebra e luce la figura dell'apostolo Pietro, che segue Gesù, ma mantiene le distanze: "se ne stava seduto fuori" – annota l'evangelista; non era pronto ad affrontare le conseguenze di una presa di posizione dichiaratamente a favore del Maestro. Di fronte a chi lo smaschera, Pietro non può fare altro che ribadire la sua estraneità a Gesù. Non ha la forza di affermare che è uno dei suoi discepoli. Al canto del gallo, c'è però il pianto amaro di Pietro. In questa consapevolezza della propria povertà può riconoscere la fedeltà di Gesù. Il suo pianto amaro è come un lavacro rigenerante. Non avrà comunque il coraggio di stare con Gesù, di accompagnarlo alla morte; in quelle lacrime, tuttavia, c'è la sconfitta dell'amor proprio e il riconoscimento della fedeltà di cui il Signore è capace. In quelle lacrime è racchiusa tutta la nostra debolezza, la nostra difficoltà ad essere coerenti nella testimonianza, la nostra fatica a vivere la fede nel Signore Gesù, soprattutto nei momenti della prova. Ma insieme c'è la dichiarazione che, lontani da lui, siamo perduti, non sappiamo più chi siamo realmente, qual è la nostra meta, quali sono i passi da compiere. Il vertice del simbolismo luce e tenebra si raggiunge nel venerdì santo. Dopo aver implorato, ancora una volta, il Signore di rischiare le nostre tenebre, all'inizio dell'azione liturgica avvertiamo che quel lucernario, pur non essendo propriamente rispettoso della cronologia degli eventi (Gesù muore all'ora nona, non a vespro), offre la possibilità di un'interpretazione teologica: il buio sceso su tutta la terra è rischiarato dalla croce di Cristo. E allora, quando nel corso della narrazione evangelica tutte le luci si spengono, comprendiamo che quella sarebbe la costante condizione dell'umanità, un buio privo di speranza, se non avessimo la certezza che, attraverso la morte, Cristo ci ha aperto il passaggio alla vita. Ecco, tuttavia, la potenza simbolica della liturgia ambrosiana: anche in quell'ora tremenda, mentre tutto tace e ogni luce è spenta, presso il tabernacolo, dove è stata riposta l'Eucarestia la sera precedente, una lampada continua ad ardere e conserva questa luce persino nel secondo giorno, quello del grande silenzio, il sabato santo. Noi celebriamo, infatti, la morte di colui che è per sempre vivo in mezzo a noi nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Il tema della luce che squarcia le tenebre è quanto mai evidente nella grande veglia. La nostra tradizione privilegia la benedizione della lampada, da cui si attinge nel buio della notte, la fiamma per accendere il cero pasquale, segno della luce spirituale che sorregge l'attesa e guida il cammino della Chiesa verso l'incontro con il suo Signore. Il cero non è dunque nella Veglia ambrosiana diretto simbolo del Cristo risorto come nel rito romano, ma è come la colonna di fuoco che precede il popolo del Signore nella notte e come la stella che ha guidato i Magi all'incontro con il Signore, per usare le espressioni del preconio. L'illuminazione del Battesimo o la memoria battesimale attraverso l'aspersione, che quest'anno per evidenti ragioni non potremo sperimentare, è il naturale sviluppo di questa concezione; dopo essere stata illuminata e purificata dal lavacro di rigenerazione, la Chiesa Sposa può muovere splendente verso il suo Signore che incontra nell'Eucarestia. Non si deve dimenticare che, prima della riforma, i riti battesimali precedevano lo stesso Annuncio della risurrezione, in accordo con quanto annunciato alla fine del preconio, e l'alleluia si sprigionava proprio a partire dal Fonte, mentre i fedeli venivano aspersi con l'acqua benedetta.
Tipicamente ambrosiana è la prospettiva nuziale ed escatologica. Nei giorni del Triduo la Chiesa, Sposa di Cristo, rivive con intensa partecipazione e interiore commozione gli eventi ultimi della vita terrena del suo Sposo. Arriva a spogliarsi di ogni ornamento nel momento della sua morte. Nella rinnovata impostazione delle celebrazioni, la memoria della sepoltura e poi della custodia del sepolcro esprimono la sosta silenziosa della Chiesa, attonita di fronte al dramma consumatosi. La lettura delle pagine dell'antico Testamento sostiene l'attesa della Risurrezione. Come i tre fanciulli nella fornace sono liberati dalla morte, così Cristo sarà strappato dalla corruzione del sepolcro, la morte non potrà prevalere: è il senso della celebrazione della Deposizione, elemento prezioso che riconduce ai riti dell'antica Gerusalemme. L'attesa trepida nella notte della Pasqua è sottolineata dal preconio: "teniamo dunque le fiaccole accese come fecero le vergini prudenti; l'indugio potrebbe attardare l'incontro con il Signore che viene". Come nella parabola evangelica, nel cuore della notte si ode un grido: Ecco lo Sposo, così nel cuore della Veglia risuona la voce apostolica del sacerdote che annuncia: "Cristo Signore è risorto". Fin dall'inizio della Settimana autentica, del resto, risuona il monito: "Vegliate in ogni momento, pregando...". Ma perché tutto il mistero si compia il popolo dei redenti deve celebrare il banchetto nuziale: si deve nutrire del corpo e del sangue di Cristo, vero Agnello pasquale. Quest'anno siamo chiamati a patire questa impossibilità: cresca dentro il cuore di tutti i credenti il desiderio di poter accedere alla comunione eucaristica almeno durante i Cinquanta giorni del tempo pasquale, nella speranza che le necessarie misure di contenimento dell'epidemia siano allentate. L'Eucarestia culmine della Veglia inaugura infatti il tempo lietissimo, come lo chiamavano i padri, nel quale la Chiesa esulta per la presenza del suo Sposo che, salendo al cielo, le fa dono dello Spirito Santo. L'Eucarestia, culmine della Veglia, è pegno, è anticipazione delle nozze eterne dell'umanità con il suo Signore.
L'atteggiamento del ladro sulla croce accompagni la preghiera di ciascuno al culmine del Triduo così come all'inizio: "Donami la gioia del regno" chiederemo ancora una volta a Pasqua, in perfetta inclusione con quel "Memento mei, Domine, in regno tuo" ("Ricordati di me, Signore, nel tuo regno") che sigilla il canto dopo il Vangelo (Oggi, Figlio dell'Eterno, come amico al banchetto tuo stupendo tu mi accogli...) della santa messa nella Cena del Signore, vero tesoro liturgico condiviso con i fratelli dell'Oriente bizantino.
Avv. Cristian Lanni
Nato nel 1994 a Cassino, Terra S. Benedicti, consegue, nel 2013 la maturità classica. Iscrittosi nello stesso anno alla Pontificia Università Lateranense consegue la Licenza in Utroque Iure nel 2018 sostenendo gli esami De Universo Iure Romano e De Universo Iure Canonico. Nel 2020 presso la medesima università pontificia consegue il Dottorato in Utroque Iure (summa cum laude) con tesi dal titolo "Procedimenti amministrativi disciplinari e ius defensionis", con diritto di pubblicazione. Dal luglio 2019 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo dei Difensori del Vincolo presso la Regione Ecclesiastica Abruzzese e Molisana, operante nel Tribunale dell'Arcidiocesi di Chieti, dal settembre dello stesso anno è docente presso l'Arcidiocesi di Milano. Dal giugno 2020 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo degli Avvocati canonisti della Regione Ecclesiastica Lombarda. Dal 2019 è consulente e legale presso una Congregazione religiosa. Dal 2022 consulente presso alcuni Monasteri benedettini.
studiolegalecanonistico.lanni@gmail.com
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