Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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I Santi del giorno

Sabato 15 luglio 2000

San Bonaventura

Vescovo e Dottore della Chiesa (Memoria obbligatoria)

BIOGRAFIA

Giovanni Fidanza era nato a Bagnoregio (Viterbo) nel 1218. Bam­bino fu guarito da san Francesco, che avrebbe esclamato: « Oh bona Ventura »: gli rimase per nome, ed egli fu davvero una « buona Ventura » per la Chiesa. Volle farsi francescano, studiò filosofia e teologia a Parigi e vi fu a lungo professore. Eletto superiore generale del suo ordine, l'organizzò e diresse saggiamente, tanto da esserne chiamato: « secondo fondatore e padre »; infatti, Francesco non aveva lasciato alcuna precisa costituzione. Per averlo vicino a Roma, il Papa lo nominò vescovo di Albano e cardinale, incaricandolo di preparare il Concilio Ecumenico di Lione II per l'unione dei cristiani Latini e Greci. La sua teologia, agostiniana di mente e di spirito, e fortemente cristocentrica, lo rendeva capace di capire profondamente la teologia orientale. Aperto il Concilio il 7 maggio 1274, si giunse il 28 giugno a un accordo per l'unione (purtroppo rotto in seguito); ma il 15 luglio Bonaventura moriva, assistito dal papa Gregorio X. Pochi mesi prima era morto san Tommaso d'Aquino, di cui era amicissimo.
Bonaventura era uomo di azione e di governo, pratico e speculativo, ricco di equilibrato sentimento e simpaticamente « umano ». Vedeva un fondamentale accordo fra le arti, le scienze, la filosofia, la teologia, la storia. Raramente scienza e fede s'erano viste tanto armonizzate in un uomo, e soprattutto così animate dall'amore; era un grande contemplativo, un mistico. Per questo è stato onorato dei titolo di « Dottore serafico ».

MARTIROLOGIO

Memoria della deposizione di san Bonaventura, vescovo di Albano e dottore della Chiesa, che rifulse per dottrina, santità di vita e insigni opere al servizio della Chiesa. Resse con saggezza nello spirito di san Francesco l'Ordine dei Minori, di cui fu ministro generale. Nei suoi molti scritti unì una somma erudizione a una ardente pietà. Mentre si adoperava egregiamente per il II Concilio Ecumenico di Lione, meritò di giungere alla visione beata di Dio.

DAGLI SCRITTI...

Dall'opuscolo «Itinerario della mente a Dio» di san Bonaventura, vescovo
Cristo è la via e la porta. Cristo è la scala e il veicolo. E' il propiziatorio collocato sopra l'arca di Dio (cfr. Es 26, 34). E' «il mistero nascosto da secoli» (Ef 3, 9). Chi si rivolge a questo propiziatorio con dedizione assoluta, e fissa lo sguardo sul crocifisso Signore mediante la fede, la speranza, la carità, la devozione, l'ammirazione, l'esultanza, la stima, la lode e il giubilo del cuore, fa con lui la Pasqua, cioè il passaggio; attraversa con la verga della croce il Mare Rosso, uscendo dall'Egitto per inoltrarsi nel deserto. Qui gusta la manna nascosta, riposa con Cristo nella tomba come morto esteriormente, ma sente, tuttavia, per quanto lo consenta la condizione di viatori, ciò che in croce fu detto al buon ladrone, tanto vicino a Cristo con l'amore: «Oggi sarai con me nel paradiso!» (Lc 23, 43).
Ma perché questo passaggio sia perfetto, è necessario che, sospesa l'attività intellettuale, ogni affetto del cuore sia integralmente trasformato e trasferito in Dio.
E' questo un fatto mistico e straordinario che nessuno conosce se non chi lo riceve. Lo riceve solo chi lo desidera, non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo, che Cristo ha portato in terra. Ecco perché l'Apostolo afferma che questa mistica sapienza è rivelata dallo Spirito Santo.
Se poi vuoi sapere come avvenga tutto ciò, interroga la grazia, non la scienza, il desiderio non l'intelletto, il sospiro della preghiera non la brama del leggere, lo sposo non il maestro, Dio non l'uomo, la caligine non la chiarezza, non la luce ma il fuoco che infiamma tutto l'essere e lo inabissa in Dio con la sua soavissima unzione e con gli affetti più ardenti.
Ora questo fuoco è Dio e questa fornace si trova nella santa Gerusalemme; ed è Cristo che li accende col calore della sua ardentissima passione. Lo può percepire solo colui che dice: L'anima mia ha preferito essere sospesa in croce e le mie ossa hanno prescelto la morte! (cfr. Gb 7, 15).
Chi ama tale morte, può vedere Dio, perché rimane pur vero che: «Nessun uomo può vedermi e restar vivo» (Es 33, 20). Moriamo dunque ed entriamo in questa caligine; facciamo tacere le sollecitudini, le concupiscenze e le fantasie. Passiamo con Cristo crocifisso, «da questo mondo al Padre», perché, dopo averlo visto, possiamo dire con Filippo: «Questo ci basta» (Gv 14, 8); ascoltiamo con Paolo: «Ti basta la mia grazia» (2 Cor 12, 9); rallegriamoci con Davide, dicendo: «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre» (Sal 72, 26). «Benedetto il Signore, Dio d'Israele, da sempre, per sempre. Tutto il popolo dica: Amen» (Sal 105, 48).



 

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