preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Nel clima disteso della conversazione al termine del banchetto e dopo aver udito le raccomandazioni di Gesù sulla scelta dei posti e degli invitati, uno dei presenti pronuncia la beatitudine con cui si apre il vangelo di oggi: "Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!" Questa esclamazione offre a Gesù l'occasione di raccontare la parabola dell'invito al grande banchetto nuziale. La chiamata di Dio è misteriosa, giunge dal profondo del cuore attraverso molte circostanze diverse, e va accolta come prioritaria ed essenziale. Ma capire la chiamata significa mettere in questione le cose che si facevano già. Nella parabola più di uno non accetta, perché quello che fa è preferibile alla proposta avanzata. Dio, no! ci sono io! E così si sa cosa rispondere: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo. Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli. Ho preso moglie...”. Gesù non ci insegna che i poveri, gli storpi, gli zoppi e i ciechi siano particolarmente disposti al Regno, ma ci dice che ogni uomo è particolarmente disposto quando dinanzi a Dio è capace di considerarsi non come colui che ha già il campo, le sue paia di buoi, la sua moglie, ma come colui che è cieco e ha bisogno di vedere, o uno zoppo che ha bisogno di camminare. Nel corso della giornata ci sono tante cose da fare e, se proprio per quelle tante cose da fare, si trascurasse la presenza di Dio o l'incontro importante con i fratelli, si declinerebbe l'invito ad andare a Dio. La parabola è molto chiara e forte: si conclude con il padrone molto sdegnato, il quale dice: “Nessuno di quelli che erano stati invitati, assaggerà la mia cena”. Fa pensare perché questo severo giudizio viene dopo due comandi insistenti “esci in fretta e sollecitali ad entrare” rivolti al servo, perché sia piena la sala dei commensali. Dio tutti ci vuole salvi... Ma dobbiamo rispondere alla sua chiamata.
Un anziano diceva: Per questo non facciamo progressi, perché non conosciamo i nostri limiti e non abbiamo pazienza nel compiere l'opera che abbiamo intrapreso, ma vogliamo entrare in possesso della virtù senza alcuno sforzo.
L'OSSERVANZA DELLA QUARESIMA Veramente la vita del monaco dovrebbe avere in ogni tempo un tenore quaresimale; tuttavia, dato che questa virtù è di pochi, raccomandiamo che almeno nel periodo di Quaresima ognuno si impegni a custodire la propria vita con la più grande purezza, e insieme a riparare in questi santi giorni le negligenze degli altri tempi dell'anno. Ora, tutto questo lo possiamo attuare in maniera degna se ci asteniamo da ogni peccato e ci dedichiamo alla preghiera con le lacrime, alla lectio divina, alla compunzione del cuore e all'astinenza.
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