preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
La parabola che leggiamo nel vangelo di oggi ci suona come una sfida alla nostra razionalità, ci appare come un paradosso; ad una prima lettura infatti ci viene da denunciare una evidente ingiustizia perpetrata dal padrone della vigna nei confronti degli operai della prima ora, che hanno lavorato per tutto il giorno. Ci viene spontaneo pensare che non è giusto dare la stessa ricompensa a coloro che sono stati chiamati alle cinque del pomeriggio e hanno lavorato per una sola ora: l'ingiustizia, secondo i nostri criteri, ci appare più che evidente. Una più attenta riflessione, maturata alla luce della fede, ci aiuta comprendere diverse verità che sono proprio del Signore e che emergono come luce per noi da questa parabola: intanto egli chiama chi vuole e quando vuole, chiama a tutte le ore e ciò perché non ci vuole vedere oziosi, i doni e i talenti debbono essere messi a frutto nella sua vigna. Se poi intendiamo la vigna come l'ingresso nel suo regno e il lavoro come lo strumento per conseguire la salvezza, ci convinciamo ulteriormente che il Signore non desiste mai, nel suo infinito amore, dal chiamarci e dall'attenderci con la sua divina pazienza. Il buon ladrone ricevette la chiamata mentre era morente sulla croce insieme a Gesù e "rubò" il paradiso, il salario intero davvero all'ultima ora. Ciò che poi maggiormente conta agli occhi di Dio è la risposta che diamo alle sue divine sollecitazioni, anche se tardiamo fino alla sera della nostra vita prima di lasciarci convincere a seguirlo per essere operosi nella sua vigna. Qui vediamo mirabilmente coniugate, come noi non sappiamo fare, la giustizia divina e la sua infinita bontà: Egli mette in atto tutti i tentativi possibili, pur di averci con sé e quando arriva la nostra risposta convinta ci dona tutto il suo amore, senza calcoli e senza riserve.
«Non è ancora perfetta quella preghiera in cui il monaco ha coscienza di sé e del fatto stesso di pregare».
L'UMILTÀ Il settimo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco, non solo a parole si dichiara l'ultimo e il più spregevole di tutti, ma si ritiene veramente tale anche nel più profondo del cuore, umiliandosi e dicendo col profeta: «Io sono verme e non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo» (Sal 21,7); «mi sono esaltato e allora sono stato umiliato e confuso» (Sal 87,16 Volg.); e ancora: «Bene per me se sono stato umiliato, perché impari ad obbedirti» (Sal 118,71).
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