preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
La fede, che il buon Dio ci dona e che noi dobbiamo continuamente alimentare ed esercitare, ci fa conoscere al meglio le ultime Verità e i progetti che il Signore ha per ciascuno di noi e per l’intera umanità. Ci convinciamo così con quella luce interiore, che il Signore, pur dando sempre per ognuno di noi il massimo e il bene migliore, Egli non segue però la nostra logica e non si lascia condizionare dai nostri limiti e dalle nostre aspettative. E lo dichiara apertamente: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”. Ciò implica che avere fede significa in pratica nutrire piena ed incondizionata fiducia e totale e filiale abbandono in Dio. Significa anche che talvolta, come accade al nostro padre Abramo, bisogna accettare anche quello che a noi appare illogico e addirittura assurdo e contraddittorio, consapevoli che “nulla è impossibile a Dio” e che Egli non può volere mai il nostro male. Questo a condizione che accettiamo la nostra povertà intellettuale e sappiamo riconoscere l’onnipotenza divina. Dopo il peccato di superbia questo atteggiamento di rispettosa sottomissione e la bella virtù dell’umiltà ci garantiscono la benedizione di Dio e un fiume di grazie. “Ti colmerò di benedizioni”, dice il Signore ad Abramo dopo la prova. Opportunamente San Paolo ci ricorda che lo stesso Signore è il nostro primo garante e difensore: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”. Dobbiamo convincerci perciò che tutti i percorsi di Dio, anche i più tortuosi, hanno sempre uno sbocco verso il vero bene. “Per crucem ad lucem” recita un motto cristiano: è la croce che ci conduce alla pienezza della Luce in Dio, alla beatitudine eterna. In questo contesto leggiamo oggi l’episodio della trasfigurazione di Gesù sul Tabor. "Gesù prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello", ascese con essi sopra un alto monte e mostra loro lo splendore della sua gloria. Così si mostra affinché gli apostoli, e noi con loro, si premunissero anticipatamente di una inalterabile costanza e non avessero a trepidare o arrossire per la crudeltà della passione e della croce che Gesù, e poi anche noi con Lui, doveva abbracciare e portare. Egli ci assicura che la mèta finale per tutti, oltre la croce, è la gloria: “Ora Dio, come ha risuscitato il Signore, così risusciterà anche noi con la sua potenza”. Gesù, in una certa misura, fa pregustare a tre dei suoi discepoli, in qualità di testimoni, e anticipa a tutti noi la gloria che Egli ha in sé e che sarà nostra nell’eternità per smuoverci a guardare oltre il sacrificio, oltre ogni travaglio, anche oltre la santa Quaresima, per far già da oggi albeggiare in noi la sua e la nostra Pasqua.
«Domanda: Quando cerco di concentrare tutta la mia attenzione sul senso delle parole della salmodia, mi accade spesso di concepire cattivi pensieri. Risposta: Se vedi che il nemico si serve delle parole stesse della salmodia per farti guerra, non devi soffermarti strettamente sul senso delle parole, ma salmodiare con molto impegno senza fantasticare. Anche se infatti ti limiti a dire le parole, i nemici che sanno il loro significato, non possono resisterti. Così la salmodia sarà per te come una supplica a Dio e porterà all'annientamento dei nemici».
COME CELEBRARE L'UFFICIO NOTTURNO NEL PERIODO ESTIVO Da Pasqua fino al principio di novembre si mantenga tutta la quantità dei salmi indicata sopra; eccetto che, data la brevità delle notti, non si leggano le tre letture dal codice, ma al loro posto se ne dica una a memoria dell'Antico Testamento, seguita da un responsorio breve; però tutto il resto si svolga come prescritto sopra, cioè alle Vigilie notturne non si devono dire mai meno di dodici salmi, oltre il salmo 3 e il salmo 94.
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