preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Così finisce il miracolo di Gesù, narrato nel Vangelo di San Giovanni, riportato in questa quarta domenica del tempo quaresimale. Consideriamo tutto l'episodio per comprendere, nella sua completezza, questo atto di fede di un cieco nato, guarito miracolosamente da Gesù. Egli, passando con i discepoli, nota la presenza di questo cieco. È l'occasione per i discepoli di porre un interrogativo importante. Secondo la mentalità dell'epoca, la malattia è segno di un castigo divino. Il loro pensiero è immediato. Qualcuno deve aver peccato, forse lo stesso cieco; la sua malattia però è congenita e quindi può anche essere - secondo il filo di questo ragionamento - che egli subisca la pena per delle eventuali colpe dei genitori. Gesù risponde ai discepoli e ribalta il loro ragionamento. In una malattia vi è senz'altro il segno della permissione divina ma è anche un evento naturale che può e deve essere vissuto nella fede e per la fede. La guarigione fisica è importante ma non determinante. La guarigione è efficace se ad essa corrisponde un altro cambiamento. Gesù invita i discepoli a cambiare prospettiva. Non devono solo guardare la malattia ma rivolgere il loro sguardo su Gesù stesso. Già in questa esortazione vi è un atto di fede, perché la fede è guardare a Gesù per affidargli la nostra vita. Nella sua risposta, Gesù si proclama poi la vera luce del mondo, venuto a dipanare le tenebre del male. In questa risposta ruota tutto l'episodio, narrato con una particolare vivacità dall'evangelista. I Giudei che hanno assistito all'episodio interrogano prima i genitori e poi il cieco stesso e dimostrano così una durezza di cuori che impedisce loro di contemplare l'azione di Dio. Per loro gli occhi della fede bràncolano ancora nel buio. Differente è invece l'atteggiamento del cieco dopo che ha riavuto la vista. Egli riconosce e poi testimonia della potenza di Gesù. Bella è questa figura del Cieco Nato che dimostra, con forza e simpatia, anche una certa ironia verso coloro che non si arrendono di fronte all'evidenza dei fatti. Il miracolato poi con il suo atto di fede finale testimonia Gesù come il Figlio di Dio. I miracoli da lui effettuati allora non sono espressioni di capacità inspiegabili alle menti delle persone ma rappresentano la presenza di Dio incarnata. Gesù, quando opera i suoi miracoli, ha presente sempre due aspetti. Da un lato vi è la necessità umana di soccorrere chi è nel bisogno. È l'amore di un Dio Padre che si rende vivo e visibile nel Figlio. È un Dio che ha lo sguardo misericordioso, che legge la profondità dell'animo umano e che vuole sempre la salvezza dell'anima. Gesù mostra questo Volto di Dio nel suo volto umano. Egli vede il cieco dalla nascita e vuole intervenire a suo favore. Proprio l'atto di fede del cieco miracolato è la risposta alla domanda dei discepoli. Possiamo allora anche noi aprire i nostri cuori, riconoscere in Gesù la vera Luce che illumina la nostra strada.
Gregorio disse: «Che la tua opera sia pura per la presenza del Signore e non per l'ostentazione».
QUALE DEVE ESSERE IL GRADO DELLA SCOMUNICA La misura della scomunica o del castigo corporale deve essere proporzionata alla gravità della colpa; e la valutazione di questa dipende esclusivamente dal giudizio dell'abate. Se un fratello comunque si rende colpevole di colpe leggere sia privato della partecipazione alla mensa comune. Per chi viene escluso dalla mensa si usi questa norma: non canti da solo in coro né salmo né antifona né proclami le letture, finché non abbia fatto la soddisfazione; inoltre prenda il pasto da solo dopo la refezione dei fratelli; così, per esempio, se i fratelli mangiano all'ora sesta, egli mangi a nona; se i fratelli a nona, egli a vespro, finché, dopo un'adeguata soddisfazione, non abbia ottenuto il perdono.
home | commento | letture | santi | servizi | archivio | ricerca | F.A.Q. | mappa del sito | indice santi | preghiere | newsletter | PDA | WAP | info