preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
La scena che oggi ci presenta il vangelo è fonte di grande speranza per noi credenti in Cristo, ma anche per tutta l'umanità: molta gente, una grande folla, si raduna intorno a Gesù "recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì". Il redentore, che si era autodefinito "medico", adempie così la sua missione: guarisce i corpi malati e suscita la fede negli astanti, ridona la vista ai ciechi. Quest'opera divina non è mai cessata: è ancora Lui che sana corpi e anime, è ancora lui a sentire compassione di tutte le nostre miserie e di tutte le nostre infermità. Ha compassione anche della nostra fame e, come allora, è ancora lui che è miracolosamente provvido per soccorrere tutte le nostre necessità fisiche e spirituali. Dinanzi alla folla di allora, dinanzi agli affamati di oggi, egli ripete ancora: «Sento compassione di questa folla... perché non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada». Se però molti svengono e muoiono lungo le strade del mondo, ciò è dovuto ai nostri egoismi, alla mancanza di amore a Dio e al nostro prossimo. Troppo spesso e per troppo tempo lasciamo gemere nell'attesa i poveri del mondo. Dobbiamo ancora accrescere e dilatare la catena della solidarietà e godere nel costatare come anche oggi i miracoli della carità cristiana, diventino motivo di fede nell'unico vero Dio. Gesù così ha pregato per noi: "risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli".
Raccontavano che il padre Eladio solleva mangiare pane e sale. Quando giunse la Pasqua, si disse: "I fratelli mangiano pane e sale, io dovrei fare un piccolo sforzo a motivo della Pasqua: dato che gli altri giorni mangio seduto ora che è Pasqua, farò lo sforzo di mangiare in piedi".
I SACERDOTI DEL MONASTERO Se un abate si propone di ordinare presbitero o diacono un suo monaco, scelga tra i suoi chi sia degno di esercitare l'ufficio sacerdotale. L'ordinato però si guardi dallo spirito di vanagloria o di superbia e non ardisca fare se non ciò che gli viene ordinato dall'abate, sapendo di dover essere sottomesso ancora di più alla disciplina regolare. Né col pretesto del sacerdozio trascuri l'obbedienza alla Regola e la disciplina, ma anzi progredisca sempre di più nel cammino verso Dio. Mantenga sempre il posto che gli spetta secondo l'ingresso in monastero, eccetto per l'ufficio dell'altare e nel caso il voto della comunità e la decisione dell'abate lo abbiano promosso per i meriti della sua vita. Ma anche allora sappia che deve osservare le norme stabilite per i decani e i priori.
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