preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Il vangelo ci racconta che Gesù trascorreva intere notti in preghiera. Gli apostoli, nel desiderio di imitarlo, un giorno chiesero al loro Maestro: "Signore, insegnaci a pregare". Gesù dettò per loro e per noi il "Padre Nostro". Lo stesso tema della preghiera ricorre poi più volte in diverse pagine della scrittura sacra. Del resto il bisogno di elevare lo spirito a Dio è innato nell'uomo. Sgorga da quella somiglianza che abbiamo con il nostro creatore e Dio, che indissolubilmente ci lega a Lui. Sgorga dalla umile e vera constatazione della nostra situazione di indigenza e dalla fede che riponiamo nel nostro Signore, da cui ci attendiamo quegli aiuti e quella grazie indispensabili alla nostra crescita spirituale e umana. Oggi Gesù ci raccomanda non solo di pregare, ma di "Pregare sempre, senza stancarsi". Solo se instauriamo un rapporto intimo di comunione con Dio arriveremo alla preghiera continua. L'alimento principale della preghiera è infatti l'amore, che lo stesso Signore riversa nei nostri cuori dandoci la consapevolezza di essere amati da Lui e resi capaci di riamarlo con lo stesso amore. Amore e fede si fondono nell'orazione. Con questi vincoli è facile non dimenticarlo mai ed orientare tutta al vita verso di lui. San Paolo raccomanda ai Corinti: "Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio". Ecco come diventa possibile la preghiera continua; è l'orientamento della vita, è il pensiero costantemente rivolto al Signore. Non può subentrare la stanchezza perché si gode nello stare con Dio, che ci infonde coraggio e sicurezze che nessuno è in grado di garantirsi da solo. Il salmista canta: "Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio". È stato scritto che la preghiera è il respiro dell'anima, il tentativo migliore possibile di percepire e far sentire a Dio la sua presenza in noi. Una presenza paterna, affabile e confortante. Non dovremmo però cadere, come spesso accade, nell'errore di confondere il nostro intimo rapporto con Dio, come la sottoscrizione di una polizza assicurativa totale: egli ci ascolta, ma ci dona, nella sua infinita sapienza, non sempre ciò che chiediamo, ma ciò che più giova alla nostra salvezza.
Un fratello andò da un eremita e uscendo dalla sua cella disse: Perdonami, o padre, perché ti ho impedito di adempiere alla tua regola. Quello rispose dicendogli: La mia regola è di accoglierti in modo ospitale e di farti andare in pace.
VESTI E CALZATURE DEI FRATELLI Ai fratelli si diano vesti secondo le condizioni e il clima dei luoghi dove risiedono, perché nelle regioni fredde si ha bisogno di più, in quelle calde di meno. Giudicare di questo spetta all'abate. Comunque noi pensiamo che nelle regioni a clima temperato siano sufficienti a ciascun monaco la tunica, la cocolla, una di pelo per l'inverno e una di stoffa liscia o consumata per l'estate e lo scapolare per il lavoro; le calze e le scarpe per i piedi. Quanto poi al colore o alla qualità degli indumenti, i monaci non vi facciano troppo caso, ma si accontentino di ciò che si trova nel territorio dove abitano o di quel che si può acquistare a minor prezzo. L'abate però si preoccupi della misura delle vesti, che non siano troppo corte per chi le deve indossare, ma di taglia giusta.
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