preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
«Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza. Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora». La Quaresima è il tempo del ritorno, della conversione. “Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri”. Quindi quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare per essere visti dagli uomini. Tu, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. È bello pensare e crede che la preghiera vera è un ritorno, che fascia le ferite, che ci ridà vita, che ci fa risorgere dopo “due giorni” in una meravigliosa aurora pasquale. La povertà, l’indigenza spirituale, le nostre fragilità, l’urgenza di Dio, ci muovono alla preghiera pura e sincera. L’ostacolo che invece vanifica la preghiera è l’intima presunzione di essere giusti e disprezzare gli altri; l’autosufficienza è di coloro che credono di avere in se stessi il dio. Ben li rappresenta la voce stentorea del fariseo, che stando in piedi, credeva di pregare dicendo: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Un vantarsi soltanto di se stesso, un giudice degli altri, un incapace di scrutare la propria coscienza, sazio del proprio bene tutto formale ed esteriore. Diremmo un bene senz’anima! Ecco invece la voce umile e sommessa del pubblicano: “fermatosi umilmente a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Appaiono chiari gli elementi che rendono la preghiera preziosa e accetta agli occhi di Dio: l’orante rispetta la “distanza” come segno di ossequio, non osa alzare gli occhi, è sinceramente umile, si batte il petto: concorrono fede, devozione, contrizione e confessione; sono i motivi per cui il pubblicano, a differenza del fariseo, tornò a casa sua giustificato, perché, ecco la conclusione del Signore: “chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. La Madre del Signore ci conferma quanto sia accetta al Padre celeste la virtù che gli consente di operare grandi cose! Dio «Ha guardato l'umiltà della sua serva».
Umili e pentiti.
Fu domandato a un anziano: «Come avviene che io mi scoraggi senza tregua?». «Perché non hai ancora visto la meta», rispose.
QUALE DEVE ESSERE IL CELLERARIO DEL MONASTERO Come cellerario del monastero sia scelto uno dei membri della comunità che sia saggio, maturo, sobrio, non mangione, non superbo, non turbolento, non insolente, non gretto, non prodigo, ma pieno di timor di Dio e che sia come un padre per tutta la comunità. Abbia cura di tutti; non faccia nulla senza il consenso dell'abate; si attenga agli ordini ricevuti. Non contristi i fratelli; se per caso uno di loro gli chiede qualcosa fuori posto, non lo rattristi respingendolo con disprezzo, ma con buone ragioni e con umiltà dica di no alla sua richiesta inopportuna. Abbia cura della propria anima, memore sempre di quel detto dell'apostolo che chi avrà ben servito si acquisterà un grado onorifico (1 Tm 3,13). Riservi ogni premura con la massima sollecitudine specialmente agli infermi, ai fanciulli, agli ospiti e ai poveri, ben sapendo che di tutti questi dovrà rendere conto nel giorno del giudizio.
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