preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Su questo brano del Vangelo bisogna avere le idee chiare per evitare di credere che il regno, di cui parlava Gesù davanti a Pilato e per cui fu condannato a morte, sia un regno unicamente spirituale, senza alcun risvolto temporale e alcuna incidenza sulla storia umana. Già questa festa, quando fu istituita, suscitò qualche obiezione. Il termine “Cristo re” non piaceva e non piace molto all'opinione pubblica, sia perché evoca tempi di monarchia da noi superati, sia perché richiama l'immagine dell'uomo - suddito. Il regno di Dio non è stato inaugurato con una dominazione militare, ma con l'arresto del suo re. Non è stato imposto con una solenne cerimonia, ma con un condannato a morte di croce. Cristo è fuggito quando lo cercavano a furor di popolo per farlo re, e si è dichiarato di essere tale davanti a Pilato, prigioniero e in balìa degli altri: “Io sono re”. Ma sappiamo perfettamente la sua idea: “I re dalla terra dòminano. Chi vuole essere il primo diventi l'ultimo, il servo di tutti”. Pilato capì che Gesù non negava la sua regalità. Ne fu più che convinto da giustificare il motivo della condanna a morte del Nazareno. Di fronte alla disapprovazione dei giudei, indispettito di come erano andate le cose, rispose: “Ciò che ho scritto, ho scritto”. Questo a conforme a quanto Gesù gli aveva detto precedentemente. “Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”. Di fronte alla mentalità giuridica e politica, Gesù rivela una funzione del tutto superiore, diversa, trascendente: la funzione di rendere testimonianza alla verità, alla verità che è fondamento di tutto. Ossia vuole portarci alla conoscenza, alla comunione con il suo Padre. “Per questo è nato, per questo è venuto” e per questo ha consumato tutta la sua vita per rivelare il volto del Padre. “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. In questo modo, davanti ai capi religiosi e politici, si introduce il vero re, che dirige la storia e questi è Gesù, il Nazareno. Nel suo essere innalzato sulla croce ci mostra l'amore del Padre, attira tutti a sé, vincendo il capo di questo mondo. I nemici che lo vogliono morto, sono strumento involontario e inconsapevole della sua regalità. Lo metteranno sul trono, tra il cielo e la terra, dove si rivelerà sovrano su tutti, perché offre la sua vita per tutti.
L'Abba Pastor disse: Non abitare in un posto dove ti accorgi che gli altri ti invidiano, perché là non potrai crescere.
NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI Colui che deve essere ammesso prometta nell'oratorio alla presenza di tutti la sua stabilità, la conversione dei suoi costumi e l'obbedienza, davanti a Dio e ai suoi Santi, perché se un giorno dovesse agire diversamente, sappia che sarà condannato da Dio stesso del quale si prende gioco. Di questa sua promessa rediga una carta di professione a nome dei Santi di cui lì si conservano le reliquie e dell'abate presente. Tale carta di professione la scriva di sua mano lui stesso; oppure, se non sa scrivere, la scriva un altro a sua richiesta e il novizio vi apponga un segno; e poi di sua mano la deponga sull'altare. Dopo averla deposta, il novizio intoni subito questo versetto: «Accoglimi, Signore, secondo la tua parola e avrò la vita: non deludermi nella mia speranza» (Sal 118,116). Tutta la comunità ripeta per tre volte il versetto, aggiungendovi il Gloria Patri. Allora il fratello novizio si prostri ai piedi di tutti, perché preghino per lui; e da quel momento sia ormai annoverato tra i membri della comunità.
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