preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
I "guai" nello stile e nel linguaggio evangelico si contrappongono alle beatitudini. Indicano il sopraggiungere di un male imminente colpevolmente meritato. Oggi Gesù lancia i suoi rimproveri e preannuncia guai a quelle città "nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli". La sua predicazione, accompagnata da segni e miracoli, avrebbe dovuto indurre a conversione gli abitanti di quelle città, invece, non solo non si erano convertiti, ma avevano rifiutato la stessa persona di Cristo. Il Signore tracciava così la triste storia di tutti i rifiuti umani perpetrati nel corso dei secoli dagli amati e prediletti del Signore. A nulla erano valse le reiterate promesse di salvezza, erano cadute nel vuoto o in terreno arido le parole dei profeti, più volte avevano infranto i patti di alleanza, avevano volto lo sguardo a dei stranieri e, al posto del Dio altissimo che voleva regnare nel suo popolo, si erano costruito un idolo d'oro. Emerge dalle parole di Cristo l'angoscia e la tristezza infinita per un amore gratuito, colpevolmente rifiutato. Viene tracciata così, in modo emblematico, la storia ininterrotta di tutti coloro che infrangono un patto di amore, rifiutano gli interventi salvifici di Dio, chiudono gli occhi alle sue testimonianze, non accolgono le grazie e i favori divini. È la storia dell'assurda presunzione umana, che prima ci induce al peccato e poi ci fa rinnegare la salvezza. Solo Dio conosce il dolore che da tale rinnegamento deriva; noi sperimentiamo talvolta l'amara delusione di veder rifiutato un soccorso, che ritenevamo urgente e salutare per il nostro prossimo, non riusciamo però a comprendere quanta amarezza ingenera in Colui che ci esprime un amore infinito e gratuito. I santi esprimevano un sacro timore al solo pensiero che il Signore passasse bussando alla porta della loro anima e non trovasse ascolto e accoglienza: "Ho paura del Signore che passa". È loro convinzione che egli sta alla porta della nostra anima e bussa per chiedere di entrare e prendervi dimora. È determinante accorgersi di lui, farlo entrare come si addìce al nostro re e Signore. Dovremmo tremare di spavento al solo pensiero di poter scandire un diniego, di far sentire il nostro "no" al Signore. È la presunzione a guidarci nei nostri percorsi assordanti, sono le cose del mondo a distoglierci dai valori del cielo, gli abbagli delle false chimere ci oscurano la visione di Dio e non ci consentono di "Vedere". Occorre recuperare, con l'aiuto di Dio i sensi dell'anima; occorre elevare mente e cuore verso le cose di Dio per accorgerci di lui e non lasciarlo passare invano.
Disse abbà Longino: «Da' il sangue e ricevi lo Spirito»
QUALE DEVE ESSERE L'ABATE Quando dunque uno assume il titolo di abate, deve guidare i suoi discepoli con un duplice insegnamento: cioè, tutto quello che è buono e santo mostrarlo più con i fatti che con le parole; in modo da proporre con le parole i comandamenti del Signore ai discepoli più maturi, invece ai duri di cuore e ai più rozzi mostrare con il suo esempio i precetti divini. Quanto poi avrà indicato ai suoi discepoli come contrario alla legge di Dio, dimostri con la sua condotta che bisogna evitarlo, perché non gli accada che, mentre predica agli altri, non sia trovato riprovevole proprio lui (cf. 1 Cor 9,27), e che un giorno Dio non debba dirgli a causa dei suoi peccati: «Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle?» (Sal 49,16-17); e ancora: «Tu osservavi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, ma non ti sei accorto della trave che era nel tuo» (Mt 7,3).
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