preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto». Già nelle antiche profezie, il Messia veniva preannunciato come un germoglio nuovo e un virgulto fecondo, turgido di vita. La sua venuta, la sua storia, tutto ciò che egli ha detto e fatto ci hanno confermato quell'immagine e quella promessa. Oggi egli si autodefinisce vera vite in cui opera il provvido e sapiente vignaiolo, che è il Padre celeste. Egli toglie i tralci secchi, ormai buoni solo come legna da àrdere, e pota quelli fecondi affinché portino più frutto. È evidente che la forza e la vitalità dei tralci sono indissolubilmente legate alla vicinanza o distanza dalla vite, da cui traggono l'alimento per produrre frutti buoni e abbondanti. Gesù vuole dirci l'importanza di restare intimamente uniti a lui, di formare un tutt'uno con la sua persona. Non abbiamo alcun dubbio che la vite è lo stesso Cristo e noi i suoi tralci. Non possiamo perciò avere una vita autonoma e staccata dalla vite, pena l'infecondità, la morte e il fuoco. I legami con cui possiamo e dobbiamo continuamente legarci a lui, sono l'ascolto della sua parola, la conformità della nostra vita alla sua, il vivere costantemente l'intimità della comunione con lui. Dobbiamo avere il coraggio e la fiducia di lasciarci potare, di far rimuovere dalla nostra vita tutte le inutili pesantezze, tutti i motivi che ci distolgono dal Signore e ci tengono lontano da lui. Per questo l'autore della lettera agli Ebrei afferma: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa pènetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore». Così, il buon Dio con quella spada, con la spada tagliente della sua parola, ci pota, con la forza della sua verità sfronda i nostri errori, con il suo amore cancella i nostri peccati, con la sua grazia ci santifica. Questa è la linfa che, incessante, sgorga dalla vite, questo è il seme buono che dalla nostra arida terra sa trarre i succulenti grappoli, che spremuti al torchio della vita, vanno sugli altari per diventare sangue di Cristo.
Un giorno abba Isacco il Tebano si recò in un monastero e, vedendo un fratello peccare, lo condannò. Partito per il deserto, gli si fece innanzi un angelo del Signore che si fermò davanti alla porta della sua cella e gli disse: "Non ti lascio entrare". Quello lo pregava: "Ma perché mai?". L'angelo gli rispose: "Mi ha inviato Dio dicendo: 'Digli: Dove ordini che io getti il fratello che è caduto e che tu hai giudicato?"'. Subito l'anziano si pentì e disse: "Ho peccato, perdonami". E l'angelo disse: "Alzati, Dio ti ha perdonato. Guardati d'ora in poi dal giudicare qualcuno, prima che l'abbia giudicato Dio".
QUELLI CHE SBAGLIANO IN CORO Se qualcuno nel recitare salmo, responsorio, antifona o lettura commette uno sbaglio e non si umilia subito lì davanti a tutti con una pubblica soddisfazione, sia sottoposto a più grave castigo, perché non ha voluto riparare con un atto d'umiltà l'errore dovuto alla sua negligenza. I fanciulli invece, per mancanze di questo genere, siano battuti.
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