preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Spesso cerchiamo un collegamento tra le due letture della messa, e siccome esse seguono i cicli propri non è sempre facile trovarlo. Eppure ci aiuterebbe non solo a ricordarle meglio ma anche di spiegarle una con l'altra. Mi sembra che oggi il collegamento tra le due letture sia proprio la richiesta di misericordia che viene elevata come una preghiera dal Siràcide. Abbiamo bisogno di tanta misericordia del Signore, il Papa ne ha fatto il tema del prossimo Giubileo straordinario. La misericordia anche per scoprire nelle pieghe più recòndite del cuore i sentimenti che guidano il nostro agire. All'annuncio dei giorni di dolore che attendono il loro Maestro, gli apostoli, ripiegati nel proprio tornaconto e rinchiusi nell'orticello del proprio egoismo, pensano solo a accaparrarsi promozioni e posti di onore. Quello che i due figli di Zebbedèo hanno il coraggio di esprimere e chiedere, è un desiderio che brucia anche nei cuori degli altri apostoli e di noi tutti: occupare i primi posti! I vizi capitali, tra cui la superbia, hanno profonde radici nel cuore dell'uomo. Dovremmo soprattutto sentirci conquistati dalla lezione di umiltà che ci viene offerta dal Signore. Non è facile per la nostra natura rimanere nell'ombra... La cecità innata con la nostra natura ci porta inesorabilmente a giudicare gli altri inferiori a noi, proprio all'opposto di quanto Gesù ci insegna. Lo Spirito del Signore ci ottenga almeno la consapevolezza della incoerenza della vita dinanzi agli esempi e agli insegnamenti di Gesù. Siamo convinti che un pizzico di umiltà non nuocerebbe a nessuno... e ci darebbe più pace e serenità. Ecco allora la necessità della misericordia da desiderare, da chiedere ma anche da donare.
Il Padre Daniele disse: "Quanto più fiorisce il corpo, tanto più si estenua l'anima, e quanto più si estenua il corpo tanto più fiorisce l'anima".
NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI Se possiede delle sostanze, o le distribuisca prima ai poveri, oppure le ceda al monastero con un atto pubblico di donazione, senza riservare per sé nulla di tutti i suoi beni, poiché sa che da quel giorno egli non potrà disporre nemmeno del proprio corpo. Subito dopo sia svestito dei propri abiti e rivestito con quelli del monastero. Tuttavia gli indumenti di cui è stato spogliato siano conservati nel guardaroba, perché se un domani, cedendo alle istigazioni del diavolo, egli dovesse - non sia mai! - uscire dal monastero, allora venga svestito degli abiti del monastero e mandato via. Però la sua carta di professione, che l'abate prese dall'altare, non gli si restituisca ma si conservi nel monastero.
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