preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Il racconto giovanneo ci presenta un groviglio di situazioni, nelle quali intervengono diverse persone: i discepoli, le donne, i sacerdoti, il governatore, i soldati. Ognuno a modo suo si accosta impotente all'uomo Gesù, che va verso la sua passione e morte con responsabile consapevolezza, sapendo ciò che fa e accettando con amore quanto gli viene imposto con superficialità e ferocia da tutti. E' il vero dominatore degli eventi della sua passione e morte. Egli si fa trovare dai suoi carnefici, ma si rivela a loro nella sua potenza di Signore, "Io sono"; egli afferma di essere re, ma non di questo mondo; egli si lascia intronizzare sul seggio giudiziale del procuratore (Litòstroto) per dimostrare che è lui il vero giudice, nonostante sia condannato falsamente; egli è il vero re dei giudei secondo le profezie, per il titolo che portava l'iscrizione, posta sulla croce; infine dispone della sua madre, Maria, affidandola come madre al discepolo amato che è figura di tutti i credenti. Per tale prospettiva di vincitore anche sul patibolo della croce, la preghiera universale che segue il racconto della passione, diventa come effusione permanente dello Spirito sulla Chiesa per tutti gli uomini per cui Cristo è morto. Il racconto della passione, concluso dalla preghiera universale dei fedeli, ci preparerà all'adorazione della Croce come trofeo di morte e di vittoria. La Chiesa fin dalle origini, vede nella Croce, l'albero fiorito e fruttifero della vita, dal quale ciascuno coglie il frutto prezioso della salvezza: lo stesso Gesù che si offre in cibo. Questa croce, noi siamo invitati ad adorare, esprimendo con un bacio tutta la nostra gratitudine, per quanto da essa abbiamo ricevuto, e per essere solidali con quanti ancor oggi soffrono e amano.
Oggi non si celebra l'eucaristia. La Chiesa medita sul contenuto stesso del 'Memoriale': la morte redentrice di Cristo, fonte di salvezza per ogni uomo. Oggi, come il mercoledì delle ceneri, vige l'obbligo del digiuno e dell'astinenza.
L'abba Antonio predisse all'abba Amun: «Tu farai molti progressi nel timore di Dio». Poi lo condusse fuori dalla cella e gli mostrò una pietra: «Mettiti a ingiuriare questa pietra», gli disse, «e colpiscila senza smettere». Quando Amun ebbe terminato, sant'Antonio domandò se la pietra gli avesse risposto qualcosa. «No», disse Amun. «Ebbene! anche tu», aggiunse l'anziano, «devi raggiungere questa perfezione».
SE I MONACI POSSONO AVERE ALCUNCHÉ DI PROPRIO Nel monastero bisogna estirpare fin dalle radici soprattutto questo vizio: che nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell'abate; né avere alcunché di proprio, nulla nel modo più assoluto: né libro, né tavolette, né stilo, proprio niente insomma; dal momento che ai monaci non è lecito disporre nemmeno del proprio corpo e della propria volontà. Tutto il necessario invece lo devono sperare dal padre del monastero; e non sia lecito avere alcuna cosa che l'abate non abbia data o permessa. Tutto sia comune a tutti - come sta scritto - e nessuno dica o ritenga qualcosa come sua proprietà (At 4,32). E se si scoprirà un fratello che asseconda questo pessimo vizio sia ripreso una prima e una seconda volta; se non si corregge, sia sottoposto alla disciplina regolare.
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