preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Mentre con il Profeta Geremia assaporiamo ancora una volta la gioia di una ennesima promessa di fedeltà da parte di Dio, davvero instancabile nel cercarci, infinito nella sua misericordia, pronto e rinnovare quanto viene infranto dall’uomo: “Con la casa d'Israele e con la casa di Giuda concluderò un'alleanza nuova... Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”, alcuni greci, che tutti noi rappresentano, vogliono ancora “vedere” Gesù. Vedere oltre l’umano, ma spesso presumere di vedere unicamente con l’occhio umano così debole e fioco: le “cose” di Dio sono visibili soltanto con l’occhio della fede, non basta l’innata curiosità del trascendente e quel vago desiderio di scrutare l’invisibile; per “vedere” occorre prima chiedere luce e poi, ben illuminati umilmente elevare lo sguardo verso l’Alto. Gesù, uomo - Dio Dio, con la sua passione, con il dono della sua vita sta per scrivere a carattere indelebile, con il suo sangue, nel cuore di ognuno di noi il più grande messaggio d’amore, mai pensato e sperato dall’uomo. Sta per rendere visibile all’umanità intera la misericordia del Padre, l’amore che gratuitamente perdona, l’amore che costa la sua crudelissima passione, la sua morte in croce, il silenzio del sepolcro e infine la risurrezione. Noi con la disobbedienza ci eravamo allontanati dal Signore: Egli si è fatto obbediente fino alla morte di croce per statuire per noi una nuova ed eterna alleanza. Il divino e preziosissimo chicco di grano, immerso nel solco profondo della terra, irrorata dal sangue, dà il suo frutto copioso, fa germogliare la vita nuova con una ultima e definitiva alleanza che ci rende tutti figli di Dio e fratelli in Cristo. Quella morte ci redime, ci riconcilia, ci illumina sulla superabbondanza dell’amore divino, sulla gravità del nostro peccato e contemporaneamente sul valore che il Padre celeste ha voluto annettere alla sofferenza in genere, e ancor più alla morte offerta e patita per amore, al martirio di Cristo in primo luogo e a quello dei martiri suoi seguaci. Dalla croce di Cristo sgorga così la luce che da valore a tutta la sofferenza umana indissolubilmente unita a quella del Martire divino. Ora sappiamo che l’approdo della nostra esistenza, la meta finale passa per quella croce, ma ci garantisce una eternità beata.
Gregorio disse: «Che la tua opera sia pura per la presenza del Signore e non per l'ostentazione».
QUALE DEVE ESSERE IL GRADO DELLA SCOMUNICA La misura della scomunica o del castigo corporale deve essere proporzionata alla gravità della colpa; e la valutazione di questa dipende esclusivamente dal giudizio dell'abate. Se un fratello comunque si rende colpevole di colpe leggere sia privato della partecipazione alla mensa comune. Per chi viene escluso dalla mensa si usi questa norma: non canti da solo in coro né salmo né antifona né proclami le letture, finché non abbia fatto la soddisfazione; inoltre prenda il pasto da solo dopo la refezione dei fratelli; così, per esempio, se i fratelli mangiano all'ora sesta, egli mangi a nona; se i fratelli a nona, egli a vespro, finché, dopo un'adeguata soddisfazione, non abbia ottenuto il perdono.
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