Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Domenica 22 marzo 2015

“Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce frutto”

Mentre con il Profeta Geremia assaporiamo ancora una volta la gioia di una ennesima promessa di fedeltà da parte di Dio, davvero instancabile nel cercarci, infinito nella sua misericordia, pronto e rinnovare quanto viene infranto dall’uomo: “Con la casa d'Israele e con la casa di Giuda concluderò un'alleanza nuova... Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”, alcuni greci, che tutti noi rappresentano, vogliono ancora “vedere” Gesù. Vedere oltre l’umano, ma spesso presumere di vedere unicamente con l’occhio umano così debole e fioco: le “cose” di Dio sono visibili soltanto con l’occhio della fede, non basta l’innata curiosità del trascendente e quel vago desiderio di scrutare l’invisibile; per “vedere” occorre prima chiedere luce e poi, ben illuminati umilmente elevare lo sguardo verso l’Alto. Gesù, uomo - Dio Dio, con la sua passione, con il dono della sua vita sta per scrivere a carattere indelebile, con il suo sangue, nel cuore di ognuno di noi il più grande messaggio d’amore, mai pensato e sperato dall’uomo. Sta per rendere visibile all’umanità intera la misericordia del Padre, l’amore che gratuitamente perdona, l’amore che costa la sua crudelissima passione, la sua morte in croce, il silenzio del sepolcro e infine la risurrezione. Noi con la disobbedienza ci eravamo allontanati dal Signore: Egli si è fatto obbediente fino alla morte di croce per statuire per noi una nuova ed eterna alleanza. Il divino e preziosissimo chicco di grano, immerso nel solco profondo della terra, irrorata dal sangue, dà il suo frutto copioso, fa germogliare la vita nuova con una ultima e definitiva alleanza che ci rende tutti figli di Dio e fratelli in Cristo. Quella morte ci redime, ci riconcilia, ci illumina sulla superabbondanza dell’amore divino, sulla gravità del nostro peccato e contemporaneamente sul valore che il Padre celeste ha voluto annettere alla sofferenza in genere, e ancor più alla morte offerta e patita per amore, al martirio di Cristo in primo luogo e a quello dei martiri suoi seguaci. Dalla croce di Cristo sgorga così la luce che da valore a tutta la sofferenza umana indissolubilmente unita a quella del Martire divino. Ora sappiamo che l’approdo della nostra esistenza, la meta finale passa per quella croce, ma ci garantisce una eternità beata.


Accecati dal male, non sappiamo nemmeno riconoscere i segni dei tempi, di questi tempi in cui è grande il decadimento morale e la natura che esce dagli argini fissati dal suo Creatore e si scaglia contro l'umanità. Ciò accade perché l'uomo, per la bramosia del lucro e del potere, invade la natura con i suoi esperimenti, con la sua devastazione e la natura così violata, fuoriesce dai suoi argini, portando la sua rovina. Il demonio sfrutta ciò e acquista potere dal peccato, soffiando e sibilando, scatenando il suo male su di essa perché porti disperazione: molte morti sono di creature impreparate e lontane dalla Grazia di Dio. Così il nemico riesce carpirle a sé e per provocare la rabbia, la rabbia contro Dio, pensando e accusandolo che Egli ne sia l'autore; e di conseguenza c'è la perdita della fede. Perché non torniamo alla preghiera, non uniamo le mani e non invochiamo l’aiuto di Dio? Perché non preghiamo che si attui il segno della Volontà del Padre in noi? La preghiera è un mezzo semplice e potente che ci è stato dato: è più forte di una esplosione atomica. Se tutti pregassero con amore e verità ne vedremmo gli effetti: ci sarebbe pace, ordine, amore: in questo vedremmo manifestato il segno della presenza di Dio. Così la Pasqua sarà vera risurrezione in tutto e per tutti.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Gregorio disse: «Che la tua opera sia pura per la presenza del Signore e non per l'ostentazione».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

QUALE DEVE ESSERE IL GRADO DELLA SCOMUNICA

La misura della scomunica o del castigo corporale deve essere proporzionata alla gravità della colpa; e la valutazione di questa dipende esclusivamente dal giudizio dell'abate. Se un fratello comunque si rende colpevole di colpe leggere sia privato della partecipazione alla mensa comune. Per chi viene escluso dalla mensa si usi questa norma: non canti da solo in coro né salmo né antifona né proclami le letture, finché non abbia fatto la soddisfazione; inoltre prenda il pasto da solo dopo la refezione dei fratelli; così, per esempio, se i fratelli mangiano all'ora sesta, egli mangi a nona; se i fratelli a nona, egli a vespro, finché, dopo un'adeguata soddisfazione, non abbia ottenuto il perdono.


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