Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Giovedì 25 dicembre 2014

Gloria a Dio nel più alto dei celi.

È nato! Nasce oggi per noi. È vivo tra noi. Il Verbo si è fatto carne. Dio è diventato uomo, è il più piccolo di noi. L'ha accolto prima il seno verginale di Maria, ora una grotta e una mangiatoia. Vuole immergersi così nelle viscere della terra, nel nostro mondo. Chiede accoglienza e un po' di calore umano. Vuole scuoterci dal nostro torpore e dalle nostre assurde distrazioni. Viene ad operare un recupero totale della nostra umanità. Vuole distoglierci dalla antica e perenne tentazione di poter agire senza di Lui o contro di Lui. Egli sa che la vera miseria che ci opprime consiste nell'aver perso la nostra primitiva identità: non siamo più in grado di comprendere e vivere la nostra figliolanza e la nostra fraternità divina. Ci ritroviamo estranei e pellegrini senza meta. Mostrandoci nello specchio limpido della sua natura il volto di Dio, egli vuole farci recuperare l'iniziale nostro splendore. Questa è la luce vera del Natale, questa dobbiamo sorbire nella fede, in questo senso noi guardiamo le luci che brillano dovunque: vogliamo la luce vera che illumina ogni uomo, vogliamo la grazia che ci santifica e rende presente in noi la divinità. Il Natale vero avviene allora dentro di noi: è una nascita misteriosa ma reale, diventa orientamento per la vita, diventa amore alla vita, diventa gioia della verità e certezza di essere amati per essere poi a nostra volta capaci di amare. In quella nascita c'è un germe di vita nuova, c'è un monito da non disattendere, c'è una grande lezione, grande di umiltà e di autentica grandezza. Sono le virtù più urgenti per tornare a Dio. Accogliamolo non come quelli che non l'hanno riconosciuto, ma come coloro che ne sono fatti ragione di vita.


Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate

Nella pienezza dei tempi è venuta anche la pienezza della divinità.

«Si sono manifestate la bontà e l'umanità di Dio Salvatore nostro» (Tt 2, 11). Ringraziamo Dio che ci fa godere di una consolazione così grande in questo nostro pellegrinaggio di esuli, in questa nostra miseria. Prima che apparisse l'umanità, la bontà era nascosta: eppure c'era anche prima, perché la misericordia di Dio è dall'eternità. Ma come si poteva sapere che è così grande? Era promessa, ma non si faceva sentire, e quindi da molti non era creduta. Molte volte e in diversi modi il Signore parlava nei profeti (Eb 1, 1). «Io - diceva - nutro pensieri di pace, non di afflizione» (cfr. Ger 29, 11). Ma che cosa rispondeva l'uomo, sentendo l'afflizione e non conoscendo la pace? Fino a quando dite: «Pace, pace, e pace non c'è?». Per questo gli «annunziatori di pace piangevano amaramente» (Is 33, 7) dicendo: «Signore, chi ha creduto al nostro annunzio?» (Is 53, 1).
Ma ora almeno gli uomini credono dopo che hanno visto, perché «la testimonianza di Dio è diventata pienamente credibile» (cfr. Sal 92, 5). Per non restare nascosto neppure all'occhio torbido, «Egli ha posto nel sole il suo tabernacolo» (cfr. Sal 18, 6).
Ecco la pace: non promessa, ma inviata; non differita, ma donata; non profetata, ma presente. Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se «ci è stato dato un Piccolo» (Is 9, 6) in cui però «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9). Quando venne la pienezza dei tempi, venne anche la pienezza della divinità.
Venne Dio nella carne per rivelarsi anche agli uomini che sono di carne, e perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi nell'umanità. Manifestandosi Dio nell'uomo, non può più esserne nascosta la bontà. Quale prova migliore della sua bontà poteva dare se non assumendo la mia carne? Proprio la mia, non la carne che Adamo ebbe prima della colpa.
Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l'aver egli assunto la nostra stessa miseria. «Signore, che è quest'uomo perché ti curi di lui e a lui rivolga la tua attenzione?» (cfr. Sal 8, 5; Eb 2, 6). Da questo sappia l'uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi. Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui. Da quello a cui egli giunse per te, riconosci quanto tu valga per lui, e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità. Come si è fatto piccolo incarnandosi, così si è mostrato grande nella bontà; e mi è tanto più caro quanto più per me si è abbassato. «Si sono manifestate - dice l'Apostolo - la bontà e l'umanità di Dio nostro Salvatore» (Tt 3, 4). Grande certo è la bontà di Dio e certo una grande prova di bontà egli ha dato congiungendo la divinità con l'umanità. (Disc. 1 per l'Epifania, 1-2; PL 133, 141-143)

Apoftegmi - Detti dei Padri

Disse: "quanto più gli atleti fanno progressi, tanto più è forte l'avversario che attacca".


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

IN MONASTERO NESSUNO ARDISCA DIFENDERE UN ALTRO

Bisogna assolutamente evitare che nel monastero un monaco ardisca difendere un altro o quasi proteggerlo per qualsiasi motivo, anche se fossero uniti da un qualche vincolo di parentela. In nessun modo i monaci osino far questo, perché ne può nascere gravissima occasione di scandalo. Chi trasgredisce questa norma, sia punito molto severamente.


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