preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Colui che entra in modo improvviso nel cenacolo in mezzo ai discepoli, è quel Gesù che morì sulla croce, e che i segni sulle mani e sul costato confermano la sua morte violenta. E tutto quello che verrà donato non può che essere il frutto della sua passione e morte. I destinatari naturalmente non sono solo gli undici, ma l'intera umanità. Il primo dono è la pace, ripetuta due volte, da non confondere con un semplice saluto. Essa porta armonia nella vita dell'uomo e del mondo. Il disegno divino mirava a far sì che da quella morte l'uomo disponesse dello Spirito di Cristo e del Padre. "Alitò su di loro" lo Spirito. Cristo Signore ora appare come il creatore dell'uomo nuovo, libero dal peccato e dal male. Infatti le parole che accompagnano il gesto simbolico del soffio sono chiarificatrici: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi". Attraverso il battesimo e la riconciliazione la Chiesa celebra una continua novità di vita, nata dalla forza dello Spirito che 'è Signore e da la vita' come professiamo nel 'credo'. "Essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare diverse lingue", diffondevano l'amore di Cristo. Infatti il centro dell'esperienza cristiana non sta nella conoscenza, ma nella potenza dello Spirito di Cristo. Per questo il credente non è assimilabile per sé a un sapiente: è una persona traboccante di Spirito che sa profumare di luce e di gioia ciò che è e ciò che fa. San Paolo direbbe: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me", ancora "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé". Nessuno di noi può aggiungere nulla al dono di Dio, quello che possiamo fare è ridisegnare l'orientamento della nostra vita all'interno del dono dello Spirito in un impegno di ascolto, di umiltà e di conversione. In ciascuno di noi ora è data una particolare manifestazione della grazia, perché nel mondo intero si accenda il fuoco che tutti ci consuma.
Il padre Poemen disse a chi voleva vivere santamente: "Non misurare te stesso, aderisci piuttosto a chi sa vivere bene".
L'ORDINE DELLA COMUNITÀ I più giovani pertanto rispettino i più anziani; gli anziani amino i più giovani. Nello stesso modo di chiamarsi nessuno si permetta di rivolgersi all'altro col semplice nome, ma i più anziani chiamino i più giovani con l'appellativo di «fratelli» e i più giovani chiamino gli anziani «nonni», che significa «reverendo padre». L'abate poi, giacché sappiamo per fede che tiene le veci di Cristo, sia chiamato «signore» e «abate», non per sua pretesa ma per onore e amore di Cristo. Ma egli rifletta sulla sua dignità e si dimostri degno di tale onore.
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