preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
La privazione temporanea e volontaria del cibo e delle bevande faceva parte dei sacrifici antichi e, con accezioni diverse, mirava alla purificazione dell'uomo per avere poi un approccio più facile ed intimo con i diversi riti in onore della divinità. L'ha praticato lo stesso Gesù per quaranta giorni, lontano dalla gente, nel deserto, prima di intraprendere la sua missione pubblica e chiamare a sé i suoi discepoli. Nella concezione cristiana tale significato ha assunto un valore più teologico e profondo: è principalmente la volontaria partecipazione al sacrificio di Cristo, è praticata come pena, come penitenza, come preparazione ai grandi eventi della salvezza, come la quaresima. I discepoli di Giovanni entrano in conflitto con quelli del Signore e gli domandano: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». L'appunto è rivolto direttamente ai discepoli, ma va a colpire lo stesso Cristo, che è il loro maestro e responsabile dei loro comportamenti. Gesù non esita a dare la spiegazione: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno». Il Signore vuole sublimare il significato e il valore del digiuno e nel contempo indicarne i momenti più opportuni. Gesù si autodefinisce "sposo" e annuncia che l'avvento del Regno che egli annuncia ed incarna con la sua presenza è motivo di gioia e di festa. Si sta quindi celebrando un banchetto nuovo e gli uomini, tutti gli uomini, i discepoli in prima persona sono gli invitati alle nozze. Non è pensabile pensare e proporre il digiuno mentre si celebrano le nozze e si è nel pieno della festa. Solo quando lo sposo non sarà più presente, perché violentemente tolto e condannato alla crudele passione, anche gli apostoli digiuneranno. Allora ecco la nuova concezione del digiuno, è determinato da un'assenza, da un lutto, da un distacco, da una forzata privazione e dall'attesa di un ritorno dello sposo. La gioia cristiana muore con Cristo e risorge con Lui. Ora fin quando non entreremo alle nozze finali nel banchetto celeste, viviamo nell'attesa della beata speranza e il digiuno diventa l'alimento necessario della fede e la testimonianza doverosa della nostra gratitudine verso colui che l'ha praticato ininterrottamente per trentatré anni, restando tra noi nell'umiliazione della carne.
Non giudicate Dio dalla balbuzie dei suoi ministri!
PROLOGO ALLA REGOLA DI SAN BENEDETTO Cinti dunque i nostri fianchi con la fede e la pratica delle buone opere, sotto la guida del vangelo, camminiamo nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati (1 Ts 2,12).
Ricordiamoci però che, se vogliamo abitare nella tenda di quel regno, non potremo giungervi se non correndo verso di esso con l'esercizio delle buone opere.
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