preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecorelle, le conosco e loro conoscono me». Domenica scorsa, se vi ricordate, nel Vangelo abbiamo sentito il dialogo di Gesù con Pietro: «Mi ami? Pasci le mie pecorelle». Oggi nel vangelo il Risorto si presenta ancora, si presenta e assume tutta la responsabilità del Pastore. Ci sarà Pietro, ci saranno altri pastori ma è Lui che le guida alle sorgenti della vita, loro appartengono a Lui, perché Lui dà a loro la vita, le salva. La quarta domenica del Tempo Pasquale spesso viene chiamata domenica del Buon Pastore perché così si chiama Lui stesso nel brano odierno. È il buon pastore che ha dato tutto per il suo gregge. Ha dato la vita per l'umanità, è il modello, l'esempio di come ogni persona, ogni uomo deve crescere, crescere nella santità, nella consacrazione a Dio. Ma oggi, questa domenica di buon pastore, da anni viene anche celebrata come domenica di preghiera per le vocazioni. La parola "vocazione" vuol dire chiamata. Noi tutti siamo chiamati, abbiamo ricevuto diverse vocazioni. Siamo stati chiamati alla vita, per mezzo dei nostri genitori, da nulla siamo stati chiamati all'esistenza, a vivere. E la nostra vita non finirà mai più. Ciascuno di noi, poi, ha una propria vocazione, vocazione specifica, la vocazione che lo porta, che lo guida verso la santità: la vocazione alla vita religiosa, alla vita matrimoniale, al celibato, vedovile... Ma in ogni stato di vita noi siamo l'unico gregge, il Suo gregge, il gregge che egli guida. La nostra vita è una risposta concreta alla Sua chiamata che in questo tempo di Pasqua risuona ancora più squillante, più forte, più bella... Tante volte in questi giorni di pasqua abbiamo visto il Signore, lo abbiamo visto con la Maddalena, con i discepoli, con gli Apostoli sempre più forti, sempre più missionari. Ed anche oggi ci si presenta il Signore Risorto, Lui, Pastore, il Pastore che ha offerto la vita per le proprie pecorelle. Nella prima lettura abbiamo sentito san Paolo, Bàrnaba, i loro sforzi missionari, per la fede della Chiesa che non può rimanere nascosta, si manifesta sempre più, va, annunzia, proclama, spiega quella luce... Ma il cuore degli ebrei, dei farisei continua ad essere duro. Continuano a rifiutare la buona novella, come hanno fatto con Gesù. Sono gelosi della fede che loro stessi proclamano, sono gelosi di Dio nel quale loro stessi credono. Ma il Signore anche dai nostri peccati sa fare cose buone. Dal loro rifiuto san Paolo deduce che il messaggio cristiano è rivolto ai pagani, è rivolto a noi. «Era necessario, dice Paolo, che ci rivolgessimo prima a voi, ma voi vi siete rivelati indegni della Buona Novella, e allora ci rivolgiamo ai pagani». Un progetto divino, una profezia che già san Giovanni nell'Apocalisse ha visto, ha predetto. Da quel messaggio, da quella intuizione di Paolo nasce una moltitudine immensa, di ogni nazione, di ogni razza, di ogni popolo e lingua. In mezzo della quale c'è quella figura che san Giovanni chiama l'Agnello ma in cui noi riconosciamo il Pastore grande, e conosciamo e sappiamo che quell'Agnello senza macchia è Cristo, Cristo - Re dei re e Signore dei signori. A lui che è che era e che sarà lode gloria e potenza nei secoli eterni. Amen.
Un fratello interrogò un anziano: «Che fare? Una moltitudine di pensieri mi fa guerra e non so come resistere». Disse l'anziano: «Non lottare mai contro tutti, ma contro uno solo. Poiché tutti i pensieri degli uomini hanno una testa sola. Bisogna dunque esaminare quale sia realmente quell'unico pensiero e quale la sua natura, poi lottare contro di esso. Allora tutti gli altri pensieri perderanno la loro forza».
QUELLI CHE GIUNGONO TARDI ALL'UFFICIO DIVINO O ALLA MENSA Quando è l'ora dell'Ufficio divino, appena si sente il segnale, si lasci subito quanto si ha tra le mani e si corra con la massima sollecitudine, ma sempre con gravità, per non dare adito alla leggerezza. Nulla quindi si anteponga all'Opera di Dio. Se qualcuno alle Vigilie notturne arriverà dopo il Gloria del salmo 94 - che appunto per questo vogliamo sia detto in modo molto pacato e lento - non occupi in coro il posto suo, ma se ne stia all'ultimo oppure in disparte, in un posto che l'abate avrà destinato proprio per tali ritardatari, in modo che sia visto da lui e da tutti, fino a che, terminato l'Ufficio divino, dia soddisfazione con una pubblica penitenza.
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