Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Lunedì 21 gennaio 2013

Lo sposo è con noi.

Il digiuno, di cui si parla nel vangelo odierno, è un atto penitenziale che la Chiesa pratica sin dalle sue origini ed è comune a molte altre espressioni religiose. Ha lo scopo di distoglierci dai beni temporali e predisporre l'animo ai valori dello spirito. Ha anche un valore di espiazione e anche ascetico. Alcuni santi lo hanno praticato in modo eroico. Al tempo di Gesù lo praticavano anche i discepoli del Battista e i seguaci dei farisei. Da qui la domanda provocatoria rivolta a Gesù: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». La risposta di Gesù, come sempre, è ricca di significati e di insegnamenti. Egli vuole proclamare la novità che sta sbocciando per tutti con la sua presenza nel mondo e con l'opera redentrice che egli sta già attuando. Il regno di Dio è in mezzo a noi. Nascono tempi nuovi alimentati non più da paure e timori, ma dall'amore dello “sposo” verso l'umanità riconciliata. È ormai in atto il tempo nuovo, il tempo delle nozze (vi ricordate il vangelo di ieri), il tempo della gioia e della festa, circostanze che non si conciliano più con il digiuno, con il lutto e con l'attesa: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?”. Soltanto se privati di questa autentica gioia e di questa consolante presenza, inizierà il tempo del lutto e del digiuno. La novità del Cristo è totale e sconvolgente, non è assolutamente da paragonare ad un rattoppo sul vecchio e sul passato. Il vino è un vino nuovo, è quel vino, prima sorbito da Cristo come calice amaro e poi offerto a noi come bevanda di salvezza. “Verranno tempi...” - dice però il Signore. È una velata allusione alla sua morte, alla passione sua e del mondo, al “già e non ancora”, che crea la perenne ansia di una pienezza che ci sfugge, ma che non dobbiamo mai smettere di inseguire.


Apoftegmi - Detti dei Padri

Uno dei padri interrogò abba Giovanni il Nano su chi sia il monaco. Quello rispose: "Fatica! Perché in ogni opera il monaco si affatica. Questo è il monaco".


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

QUALE DEVE ESSERE L'ABATE

Soprattutto non trascuri né tenga in minor conto la salvezza delle anime a lui affidate per preoccuparsi maggiormente delle cose terrene, transitorie e caduche; ma pensi sempre che si è assunto il compito di guidare le anime e che di esse dovrà rendere conto. E perché non adduca a pretesto l'eventuale scarsezza di beni materiali, ricordi che sta scritto: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33); e ancora: «Nulla manca a coloro che lo temono» (Sal 33,10).


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