Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Martedì 05 giugno 2012

A Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio.

Troviamo in questo passo del Vangelo una delle frasi più celebri di Gesù: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". Sappiamo quale fu l'occasione di questa frase: volevano solo farlo parlare per metterlo alla prova. Meschinità umana! La risposta di Gesù, vero maestro, amante dell'uomo, offre una soluzione così sapiente e così pratica per la vita, al di fuori di ogni polemica, tanto che gli oppositori "Rimasero ammirati di lui". La proprietà di Dio è la persona umana, che porta l'immagine divina per l'opera della creazione. Ecco a chi apparteniamo, a chi rendere culto. Da questa verità fondamentale si dipanano tutti gli altri rapporti nella società, pur diversi, ma non in contrapposizione. Gesù dirà a Pilato, che gli minacciava la sua determinante autorità, "Non avresti autorità su di me, se non ti fosse concessa dall'alto". Tutta la vita di Gesù è stata un ossequio al Padre e nelle cose umane non ha avuto nessun percorso preferenziale, anzi... In questa circostanza a Gesù fanno una domanda politica. Egli da una risposta religiosa. Cercano di invischiarlo in una questione nazionale, ma egli si richiama al regno di Dio. La dominazione straniera anche per lui è un'ingiustizia, perché ama la sua patria e lo dimostra col pianto che fa sulla vicina distruzione di Gerusalemme. Solo in questo momento gli preme distinguere e valutare, sotto la pressione dell'ambigua richiesta, la sovranità dei due ruoli, civile e religioso. Lasciamo che lo Spirito ci illumini secondo la nostra situazione concreta. Troveremo tutti come dare di più a Dio, ciò che è di Dio, come dare meglio a Cesare ciò che è di Cesare.


Apoftegmi - Detti dei Padri

Abba Evagrio disse: "È grande cosa pregare senza distrarsi, più grande ancora salmodiare senza distrarsi".


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

I SACERDOTI DEL MONASTERO

Se avesse la presunzione di comportarsi diversamente, venga ritenuto non sacerdote ma ribelle; e se, ripreso più volte, non si sarà corretto, si faccia intervenire come testimone anche il vescovo. Se poi neppure così si emenderà e anzi le sue colpe si faranno sempre più manifeste, sia cacciato dal monastero; solo nel caso però che sia tanto ostinato da rifiutare di sottomettersi e di obbedire alla Regola.


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