preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
La parola «sete» è ricorrente nei testi sacri e non indica quasi mai soltanto il bisogno fisico di dissetarsi. Già un salmista diceva nella sua preghiera: «di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua». La sete dell'anima indica la brama di un bene spirituale urgente di cui si è privi. La terra deserta e arida, senz'acqua è lo stato di estrema indigenza, è il vuoto della fede, il vuoto del bene e degli ideali o addirittura lo spirito umano pervaso da acque inquinate, torbide e velenose. In questo contesto comprendiamo il lungo episodio del vangelo di oggi. Giovanni fotografa un Gesù stanco, che siede per riposarsi al pozzo di Giacobbe, ma che in verità è in attesa di un incontro particolare, esclusivo con una donna samaritana. Lei viene ad attingere acqua ad un pozzo, le capiterà di incontrare la fonte. Il Signore chiede da bere a quella donna, vuole intessere con lei un dialogo, ma in realtà vuole dissetarla di un acqua diversa da quella che abitualmente viene ad attingere a quel pozzo. «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Colui che prima chiede ora è pronto a dare. Vuole soltanto far emergere nella donna il significato più profondo della sete, trasferire la sua attenzione da bisogni del copro a quelli più urgenti dell'anima e convincerla che colui le parla è in grado di spegnerli per sempre: «chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete». Ora finalmente la samaritana è capace di guardarsi dentro, di accogliere nella verità che le vengano svelati i suoi disordini morali e di confessarli al divino interlocutore. A quel punto il discorso può affondare in argomenti ancora più profondi ed impegnativi: dove a come adorare l'unico Dio? La risposta di Cristo apre a dimensioni nuove: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre». Poi Gesù precisa meglio il suo discorso: «È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Spirito e verità: è l'acqua salutare che Gesù le ha donato. L'approdo finale è la fede piena, generata da Cristo nel cuore della donna, dove egli ha riversato abbondantemente la sua acqua: lei afferma e chiede: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». Ora, come Gesù le aveva promesso, la donna è diventa una fervente testimone del Cristo, una fontana zampillante: «L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». Anche dallo stupore degli apostoli reduci dalla città per provvista di cibo, Gesù trae altri insegnamenti e prenderà lo spunto dal pane e dal bisogno naturale della fame: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». Poi precisa: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera». Un itinerario di conversione e un programma di vita quaresimale che vale per ciascuno di noi.
Un anziano disse: «Se l'uomo fa la volontà del Signore, non finisce mai di udire la voce interiore».
QUELLI CHE PIÙ VOLTE RIPRESI NON VOGLIONO CORREGGERSI Se un fratello, ripreso più volte per una qualsiasi colpa, se anche scomunicato, neppure così si sarà corretto, si usi con lui una punizione più severa, cioè lo si sottoponga al castigo delle battiture. Ma se nemmeno così si vorrà emendare, anzi levatosi in superbia - che non sia mai! - oserà addirittura difendere la sua condotta, allora l'abate agisca come un medico esperto: se ha adoperato i lenitivi, gli unguenti delle esortazioni, i farmaci delle divine Scritture e infine le bruciature della scomunica o delle piaghe delle verghe, e costata ormai che a nulla approdano le sue industrie, faccia ricorso - ciò che vale di più - alla preghiera sua e di tutti i monaci, affinché il Signore, a cui tutto è possibile, operi la guarigione del fratello infermo. Ma se neppure così quegli guarirà, allora l'abate usi senz'altro il ferro dell'amputazione, come dice l'apostolo: «Togliete il malvagio di mezzo a voi» (1 Cor 5,13); e ancora: «Se l'infedele vuole andarsene, se ne vada» (1 Cor 7,15), perché una pecora infetta non contagi tutto il gregge.
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