preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
«Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono». È il fondamento del nostro credo, la speranza che anima il nostro vivere e il nostro operare. Ci definiamo candidati alla vita, alla risurrezione e questo non è soltanto il motivo centrale della nostra fede, ma anche l'anelito a cui ogni uomo naturalmente tende. Nessuno è rassegnato a calarsi per sempre nel buio di una tomba e terminare nella putredine. Noi cristiani traiamo il motivo della nostra fede dalla risurrezione di Cristo, che ci ha preceduti e ci attende nella gloria. Non riusciamo a capire come si possa vivere senza questa gioiosa certezza. I Sadducei non credevano nella risurrezione e a mo' di sfida pongono una domanda insidiosa al Signore. È la storia di una donna che in successione era stata moglie di sette fratelli, deceduti uno dopo l'altro. E da qui la loro richiesta: «Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie?». La risposta di Gesù non lascia dito a dubbi: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui». È un passo importantissimo che ci schiude un lembo di cielo e ci proietta verso una visione escatologica della vita. È bella ed incoraggiante la definizione che Gesù fa di noi tutti: ci chiama «figli della risurrezione» e «figli di Dio». Lo siamo sin da ora e ne godremo la pienezza nell'altra vita. Abbiamo dunque un approdo meraviglioso a cui tendere. Sappiamo del prezzo pagato perché ciò ci sia garantito, sappiamo anche di dover varcare una porta stretta, ma abbiamo ormai la certezza che il premio vale infinitamente di più di ogni sacrificio che ci possa essere richiesto in questa vita.
Un giorno a Sceta si scoprì che un confratello aveva peccato; gli anziani si riunirono e mandarono a chiamare l'Abba Mosè, dicendogli di venire; ma quello non volle andare. Allora il presbitero lo mandò a chiamare dicendo: Vieni, poiché la comunità dei confratelli ti attende. E quello, levatosi, andò. Tuttavia portando con sé una cesta vecchissima, la riempì di sabbia e se la trascinò dietro. Quelli gli andarono incontro dicendo: Che significa, o Padre? E il vecchio rispose loro: I miei peccati scorrono a profusione alle mie spalle e io oggi sono venuto a giudicare i peccati altrui? Allora essi, sentendolo, non dissero nulla al confratello, e anzi lo perdonarono.
I FRATELLI CHE SI TROVANO MOLTO LONTANO DALL'ORATORIO I fratelli che lavorano molto lontano dall'oratorio e non possono accorrervi all'ora stabilita, e l'abate sa che è veramente così - celebrino l'Opus Dei nel luogo stesso dove lavorano, inginocchiandosi con santo timor di Dio. Così pure i fratelli che sono in viaggio non lascino passare le ore stabilite per l'Ufficio divino, ma lo dicano da soli come meglio possono e non trascurino di rendere a Dio il debito del loro servizio.
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