preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Il valore di una persona ai nostri giorni la si misura dalle capacità di cui è dotata e soprattutto dall'efficienza. Su questa scia è maturata una nuova eresia moderna quella che chiamiamo efficientismo. È stata violentemente contestata dallo stesso Signore: egli ha dato il massimo del suo amore nell'immolazione e nell'immobilità totale della croce. Ciò nonostante noi continuiamo a pensare che anche nei confronti del Signore possiamo esprimerci al massimo quando il nostro agire per lui può esprimersi al meglio. Siamo quasi istintivamente tifosi di Marta che si occupa e si preoccupa per molte cose, che vuole con zelo dare la migliore accoglienza al Signore e ai suoi discepoli. Saremmo tentati anche noi di rimproverare Maria che, prostrata ai piedi di Gesù, si bea delle sue parole e della sua presenza. Spesso i devoti, gli asceti, i mistici sono ritenuti dei fannulloni. Anche nei confronti di noi monaci, chiusi nei nostri monasteri, spesso isolati dal mondo, molti ci chiedono che cosa facciamo lì, dentro. Simpatica la risposta di un giovane monaco che rimbalzò la domanda, chiedendo ad un visitatore: «Ma voi che fate fuori?». È difficile effettivamente per le persone del nostro secolo capire ed approvare un mondo che non conoscono, il mondo dello spirito, lo spendere la vita per Cristo, mettersi in un atteggiamento di continuo e docile ascolto del Signore per cercare di conoscere e compiere la sua volontà. Il Signore Gesù ha posto con chiarezza cosa significhi guadagnare o perdere la propria vita: i consacrati, i religiosi, le religiose, i più ferventi cristiani danno l'impressione di perdere la propria vita per donarla senza riserve a Dio, ma poi il mondo ne resta affascinato quando scorge la santità autentica, anche se non sempre sa trarne le dovute conseguenze. Per fortuna abbiamo molti testimoni e santi al di fuori del mondo cosiddetto "religioso" e Giovanni Paolo II, durante il suo pontificato, con tante beatificazioni e canonizzazioni dei laici ha dimostrato che la santità non è più confinata nei conventi o riservata a particolari categorie, ma può essere raggiunta da chiunque cera davvero Dio, anche da una semplice mamma o da due coniugi. Ecco allora che le due sorelle, protagoniste del vangelo di oggi, più che vederle in contrapposizione o competizione tra loro, le dobbiamo vedere come due modi diversi di dare la migliore accoglienza a Cristo o servendolo a tavola o ascoltando la sua Parola. Resta comunque inconfutabile che Maria si è scelta la parte migliore, in lei predomina il bisogno di un nutrimento che alimenta la sua anima.
«Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: "O Signore! Io voglio salvarmi, ma i miei pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?". Ora, sporgendosi un po', Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto ad intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l'angelo che diceva: "Fa' così e sarai salvo". All'udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio; così fece e si salvò».
QUALE DEVE ESSERE L'ABATE Non faccia preferenze di persone in monastero; non ami uno più dell'altro, eccetto chi avrà trovato migliore nelle buone opere e nell'obbedienza; non preferisca chi è nato libero a chi entra in monastero venendo dalla condizione servile, a meno che non ci sia un altro motivo ragionevole; che se, per dovere di giustizia, l'abate riterrà opportuno agire così, lo faccia per qualsiasi classe sociale; altrimenti ognuno conservi il proprio posto; perché, schiavi o liberi (Ef 6,8), tutti siamo uno in Cristo (Gal 3,28) e portiamo il medesimo peso della milizia e del servizio sotto un unico Signore: non vi è infatti presso Dio preferenza di persone (Rm 2,11); soltanto in una cosa possiamo distinguerci davanti a lui: se siamo trovati più umili e migliori degli altri nelle buone opere. Abbia dunque l'abate verso tutti uguale carità e, tenendo conto dei meriti di ciascuno, segua per tutti una medesima linea di condotta.
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