preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Spesso l'uomo crede di aver realizzato qualcosa di indistruttibile, di perenne e ciò soprattutto quando si tratta di realtà umane a cui si annette uno speciale valore e significato. Lo pensavano anche gli ebrei del loro maestoso tempio di Gerusalemme, segno per loro della divina presenza, della speciale predilezione di cui godevano e del loro prestigio e grandezza. Non avevano compreso che quella splenditi realtà era legata ad un patto di alleanza e di fedeltà . tutto crolla quando la fede viene meno e l'ipocrisia impera. Prima della distruzione del tempio si è infranto colpevolmente quel patto, quel legame e quel vincolo. A quel punto il tempio non ha più motivo di esistere, sarebbe un segno bugiardo. Viene quindi condannato alla distruzione perché assuma un altro significato, quello di una distruzione del male, dell'egoismo, della presunzione. Sono questi in primo luogo gli eventi terrificanti di cui parla il Vangelo. La vera catastrofe è sempre originata dal peccato e dall'infedeltà a Dio. Viene da pensare che anche le nostre splendide chiese potrebbero assumere le stesse caratteristiche del tempio di Gerusalemme se non le viviamo co0me segno di comunione vera con Dio e tra di noi. Il tempio, la chiesa è tale solo se coloro che li frequentano esprimono coerentemente nel culto e nella vita l'autenticità della fede. Possiamo perciò essere noi a sconsacrare e distruggere templi e chiese. «Dov'è carità e amore lì c'è Dio», ne consegue che dove non c'è amore e fraternità Dio viene cacciato e una chiesa senza Dio diventa un normale e comune locale di umane adunanze.
L'Abba Hor disse al suo discepolo: Bada di non portare mai in questa cella le parole di un altro.
NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI Allora se, dopo matura riflessione, promette di osservare tutto e di obbedire a ogni comando che riceverà, sia accolto nella comunità, ben sapendo che anche l'autorità della Regola stabilisce che da quel momento non gli è più lecito uscire dal monastero, né scuotere il collo dal giogo della Regola che in sì lungo periodo di riflessione era libero di rifiutare o di accettare.
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