preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Le parole con cui titoliamo la nostra riflessione sul vangelo odierno, sono le parole conclusive del brano di Luca. Restiamo un po' sorpresi che un annuncio di speranza sia posto dopo la cruda narrazione di fatti catastrofici e luttuosi. Per cercar di comprendere non possiamo fare a meno di ricorrere al mistero della croce per vederlo come preludio alla risurrezione. Anche sul calvario si è consumata la più immane tragedia con la condanna, la passione e la morte del Figlio di Dio, ma proprio per quella via, misteriosamente, è maturata la nostra redenzione. A seguito di quell'evento abbia levato il capo e goduto della nostra completa liberazione. La storia del mondo e quella di ognuno di noi segue ormai quel misterioso percorso: sperimentiamo le nostre disfatte, facciamo anche la triste esperienza del peccato, non mancano devastazioni e cataclismi, ma alla fine, se vogliamo, mai ci mancherà l'aiuto per risollevarci. Costatiamo così quanto sia urgente e salutare per noi che l'opera salvifica di Cristo, continui nel tempo con la sua perenne efficacia. Assistiamo a questo drammatico intreccio tra i mali che in continuità si attualizzano nel mondo e la redenzione che interviene a purificare e sanare. Gesù fa riferimento ancora alla distruzione di Gerusalemme, come segno della fine del mondo e come crollo del giudaismo. C'è anche un velato annuncio della sua seconda venuta. Comunque noi cristiani siamo sempre fedeli alle parole del Signore: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra». Non ci affanniamo quindi a rincorrere profezie e indovini, ma viviamo il tempo che il Signore ci dona in vigilante attesa della sua venuta e impariamo a conoscere i segni dei tempi, che in modo assai eloquente ci illuminano nella verità.
Raccontava del padre Dioscuro, che mangiava pane d'orzo e farina di lenticchie. Ogni anno si proponeva le pratiche di una nuova disciplina. Diceva: "Non avrò incontri con nessuno quest'anno", oppure: "non parlerò", oppure: "Non mangerò nulla di cotto", o ancora: "non mangerò frutta e verdura". Faceva così tutte le pratiche possibili, non faceva in tempo a compierne una che ne inizia un'altra. E ciò avveniva ogni anno.
I FIGLI DEI NOBILI E DEI POVERI Se per caso un nobile vuole offrire il proprio figlio a Dio nel monastero e il fanciullo è ancora in tenera età, i genitori scrivano la carta di petizione, di cui abbiamo parlato sopra; e insieme alle offerte della Messa avvolgano nella tovaglia dell'altare la stessa petizione e la mano del fanciullo; e così lo offrano.
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