preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
«Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». La proposta che Pietro fa a Gesù sembrerebbe già ottima; «quel sette volte» vuole significare tante e tante volte, fino agli estremi limiti della sopportazione, ma non sempre. Gesù deve correggere Pietro e tutti noi. Egli afferma che il perdono non può e non deve essere mai negato ad alcuno. La parabola che segue è illuminante per noi. Suscita sdegno e riprovazione il comportamento di quel servo. Gli viene condonato un debito enorme e poi egli infierisce contro un suo conservo che gli deve soltanto pochi spiccioli. Che ingrato! Ci viene da dire con rabbia. Solo ad una attenta riflessione possiamo giungere alla conclusione che noi stessi assumiamo lo stesso comportamento quando otteniamo gratuitamente e con infinita misericordia il perdono dei nostri grandi debiti contratti con il buon Dio e poi osiamo negare il perdono al nostro prossimo per offese vere o presunte, ma sicuramente sempre di gran lunga inferiori a quelle nostre. Quando si nega l'amore si crea l'inferno già in questo mondo. Senza la legge del perdono allontaniamo Dio dal nostro mondo e facciamo spazio al principe del male, che vuole instaurare il suo regno di odio, di divisioni e di violenze. Diventiamo indegni dell'altare e sacrileghi con Cristo se prima di accedere al sacrificio non premettiamo la piena riconciliazione. Dobbiamo giungere con la forza dell'esperienza e della grazia a gustare la gioia del perdono, a vivere le nostre feste come riconciliazione con Dio e con i fratelli per stabilire tra noi stabilmente la civiltà dell'amore.
«Gli anziani dicevano: "Ad ogni pensiero che ti assale chiedi: "Sei dei nostri o vieni dall'Avversario?". Te lo dirà certamente!"».
L'UMILTÀ Quanto poi alla volontà propria, dalla Scrittura ci viene proibito di compierla quando dice: «Non seguire le tue voglie» (Sir 18,30); e similmente nel Padre Nostro preghiamo Dio che si faccia in noi la sua volontà. A ragione dunque ci viene insegnato di non compiere la nostra volontà, se evitiamo l'inganno di cui parla la Scrittura santa quando dice: «Ci sono delle vie che all'uomo sembrano diritte, ma che invece sboccano nel profondo dell'inferno» (Pr 16,25); e similmente ci guardiamo da ciò che si dice dei negligenti: «Sono corrotti e sono diventati abominevoli nelle loro voglie» (Sal 13,1 Volg.). Quanto infine ai desideri della carne, crediamo ugualmente che Dio ci è sempre presente, secondo ciò che dice il profeta: «Signore, davanti a te è ogni mio desiderio» (Sal 37,10). Guardiamoci dunque dai cattivi desideri, perché la morte è posta sulla soglia del piacere; perciò la Scrittura raccomanda: «Non andar dietro alle tue concupiscenze» (Sir 28,30).
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