preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
San Benedetto scrivendo ai suoi monaci nella Regola, parla di uno zelo buono che induce all'amore verso Dio e verso il prossimo e di uno zelo "amaro", che è indice di umana grettezza e separa dal bene e conduce all'inferno. Quest'ultimo è quello che spesso mostrano scribi e farisei nei confronti del Cristo e dei suoi discepoli. Sono essi i predecessori e i maestri di tutti coloro che hanno sempre aperto un codice di comportamento per gli altri e che lo usano costantemente per giudicare e condannare. Sono tra i peggiori nemici della vera fede perché, illudendosi di zelare la giustizia, rinnegano di fatto la carità e l'amore. Spogliano il buon Dio della sua essenziale prerogativa che è appunto il perdono e la misericordia. Fanno uso della legge come di una lama tagliente non per curare il male, ma per uccidere i malati. È una brutta razza che trova sempre i suoi adepti anche nella nostra chiesa. Il Signore Gesù ci raccomanda: "Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?". Il pretesto che trovano oggi gli scribi è quello di vedere i discepoli del Signore che in giorno di Sabato colgono delle spighe di grano per mangiarne i chicchi. Ed ecco pronta la loro sentenza di condanna: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». Gesù in poche battute dimostra loro quanto sia malizioso ed assurdo il loro giudizio, citando esempi tratti dalla scrittura sacra, dalla stessa fonte da cui essi ritengono di poter motivare le loro valutazioni. Poi aggiunge: "Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio". Se il tempio, la chiesa, la religiosità viene interpretata come puro legalismo li si svuotano di Dio e restano solo pietre e macigni che gravano pesantemente e mortalmente sull'uomo. "Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa". Solo nel Signore riusciamo a coniugare con divina sapienza, giustizia e misericordia, peccato e perdono, colpa e assoluzione. La legge senza l'amore è solo vincolo e laccio, serve per gli schiavi e non per i figli, riempie le carceri del mondo e rischia di riempire di dannati gli inferi. Non è questa la missione di Cristo, non è questa la missione della chiesa e dei suoi ministri. "Il Figlio dell'uomo è signore del sabato".
«Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: "O Signore! Io voglio salvarmi, ma i miei pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?". Ora, sporgendosi un po', Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto ad intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l'angelo che diceva: "Fa' così e sarai salvo". All'udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio; così fece e si salvò».
QUALE DEVE ESSERE L'ABATE Non faccia preferenze di persone in monastero; non ami uno più dell'altro, eccetto chi avrà trovato migliore nelle buone opere e nell'obbedienza; non preferisca chi è nato libero a chi entra in monastero venendo dalla condizione servile, a meno che non ci sia un altro motivo ragionevole; che se, per dovere di giustizia, l'abate riterrà opportuno agire così, lo faccia per qualsiasi classe sociale; altrimenti ognuno conservi il proprio posto; perché, schiavi o liberi (Ef 6,8), tutti siamo uno in Cristo (Gal 3,28) e portiamo il medesimo peso della milizia e del servizio sotto un unico Signore: non vi è infatti presso Dio preferenza di persone (Rm 2,11); soltanto in una cosa possiamo distinguerci davanti a lui: se siamo trovati più umili e migliori degli altri nelle buone opere. Abbia dunque l'abate verso tutti uguale carità e, tenendo conto dei meriti di ciascuno, segua per tutti una medesima linea di condotta.
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