preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Gesù sta per compiere il suo passo decisivo. Ormai i tempi si stanno maturando perché l'annuncio del regno si compia verso Gerusalemme. Egli sa benissimo che non ritroverà la popolarità che lo aveva seguito. Del resto, Egli ha sempre rifiutato un consenso troppo facile, anche perché conscio del destino di morte, e di salvezza, che lo attende. In questo momento decisivo, il Vangelo ci propone la figura dei tre anonimi che, in modi differenti, ci spingono a riflettere sulle esigenze del discepolato di Gesù. Il primo è un generoso che si propone subito di seguire Gesù. Egli è sicuramente affascinato da questa figura e vorrebbe imitarlo. Gesù gli risponde, con la sua umanità, indicando che alla sua sequela non ci si arricchisce in modo terreno. Gli altri due sono chiamati da Gesù stesso. La loro risposta è un sì ma non è totale e pieno. Per loro la sequela è un sì condizionato, legato a compromessi. Tre situazioni diverse ma che spingono ad aderire al messaggio di Gesù in modo totale e completo, liberandoci dagli affanni del mondo che possono rallentare il nostro cammino cristiano. L'anonimato dei tre discepoli di Gesù ci spinge a rifletterci in uno di essi; forse anche, seguendo Gesù, ci aspettiamo una gloria terrena o forse siamo ancora condizionati dai regni terreni. L'invito è in una risposta generosa e consapevole nella gioia.
L'abba Antonio predisse all'abba Amun: «Tu farai molti progressi nel timore di Dio». Poi lo condusse fuori dalla cella e gli mostrò una pietra: «Mettiti a ingiuriare questa pietra», gli disse, «e colpiscila senza smettere». Quando Amun ebbe terminato, sant'Antonio domandò se la pietra gli avesse risposto qualcosa. «No», disse Amun. «Ebbene! anche tu», aggiunse l'anziano, «devi raggiungere questa perfezione».
SE I MONACI POSSONO AVERE ALCUNCHÉ DI PROPRIO Nel monastero bisogna estirpare fin dalle radici soprattutto questo vizio: che nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell'abate; né avere alcunché di proprio, nulla nel modo più assoluto: né libro, né tavolette, né stilo, proprio niente insomma; dal momento che ai monaci non è lecito disporre nemmeno del proprio corpo e della propria volontà. Tutto il necessario invece lo devono sperare dal padre del monastero; e non sia lecito avere alcuna cosa che l'abate non abbia data o permessa. Tutto sia comune a tutti - come sta scritto - e nessuno dica o ritenga qualcosa come sua proprietà (At 4,32). E se si scoprirà un fratello che asseconda questo pessimo vizio sia ripreso una prima e una seconda volta; se non si corregge, sia sottoposto alla disciplina regolare.
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