Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Venerdì 16 febbraio 2007

Salvare o perdere la vita.

Noi esseri umani, perché creature di Dio, fatti a sua immagine e somiglianza, abbiamo un moto istintivo dell'anima che ci fa amare la vita fino ad orientarci quasi istintivamente verso un anelito di immortalità. L'argomento che oggi Cristo ci propone è quindi di grande attualità. Egli vuole istruirci sul vero significato del salvare o perdere la vita. I due termini sono in evidente contraddizione e sono anche contraddittori le dimensioni entro cui il valore della vita viene posta: o in questo mondo o in una dimensione di eternità. Per salvarsi occorre prendere la croce ogni giorno, rinnegare se stessi, annientare cioè le mire solo umane e terrene e mettersi alla sequela di Cristo. Bisogna quindi imitarlo con la ferma determinazione di arrivare con lui sino al calvario. Ecco perché i perfetti imitatori di Cristo, sin dai primordi del cristianesimo, sono stati ritenuti i martiri, i santi che hanno perso la loro vita per Cristo, guadagnandosi il premio della vita eterna. Ciò che frena e mortifica questo ideale cristiano è l'attaccamento alle cose di questo mondo, la perdita dei valori eterni, la paura della sofferenza. La proposta di Cristo risuona indubbiamente difficile ed ardua e solo alla luce della fede certa e nella incrollabile speranza della beatitudine eterna la si può accettare ed amare. È stata la scelta di tutti i martiri di Cristo e di tutti i suoi testimoni fedeli, di tutti coloro che hanno compreso che a nulla giova guadagnare tutto il mondo se poi si perde la propria anima. Un ottimo criterio di valutazione è tra il tempo e l'eternità, tra i beni di questo mondo e quelli del cielo. Questo è frutto della nostra fede ed il motivo della nostra testimonianza, il motivo per cui riconosciamo il Signore, non ci vergogniamo di lui in questo mondo e ci garantisce di essere benevolmente accolti nel giudizio finale.


Apoftegmi - Detti dei Padri

«Un anziano disse: "Se vedi uno cadere e puoi aiutarlo, tendigli il tuo bastone e fallo risalire. Ma se non puoi tirarlo su, lasciagli il tuo bastone e non perderti anche tu insieme a lui. Se gli dai la mano e non puoi trarlo su, sarà lui a trascinarti in basso e morirete tutti e due". Questo diceva per quelli che vogliono aiutare gli altri, al di là delle loro possibilità».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

L'UMILTÀ

Il quarto gradino dell'umiltà si sale quando nell'esercizio della stessa obbedienza, anche incontrando durezze e difficoltà e persino ricevendo delle ingiurie, si abbraccia nel silenzio del proprio cuore la pazienza, e sopportando tutto, non si viene meno né si indietreggia, perché la Scrittura dice: «Chi persevererà sino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22); e ancora: «Si rinfranchi il tuo cuore e sopporta la prova del Signore» (Sal 26,14 Volg.). E per mostrare che il fedele deve sostenere per il Signore anche tutte le contrarietà possibili, la Scrittura dice nella persona di quelli che soffrono: «Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello» (Sal 43,23); e, certi della speranza della ricompensa divina, essi proseguono con gioia: «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati» (Rm 8,37). Così pure in un altro passo la Scrittura dice: «Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai passati al crogiuolo come l'argento. Ci hai fatti cadere in un agguato, hai messo un peso ai nostri fianchi» (Sal 65,10-11). E per indicare che dobbiamo sottostare a un superiore, prosegue: «Hai posto un uomo sulle nostre teste» (Sal 65,12).


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