preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
L'episodio riportato dal Vangelo di oggi, ci propone una essenziale considerazione sul nostro rapporto, personale e profondo, con il Signore Gesù. Egli rispose a chi gli annunciava la presenza gelosa dei suoi familiari: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica". Con queste parole Gesù non rinnega affatto i legami che egli aveva con le persone che lo cercavano e tanto meno con sua madre. Tuttavia non sfugga una indispensabile constatazione. I suoi parenti si avvicinano a lui, ma per incontrarlo non basta essere dei suoi. C'è una folla che lo separa da lui, la folla degli estranei, che sta con lui per ascoltarlo e seguirlo. I parenti quindi - chi si crede vicino - se vogliono incontrarlo devono entrare in quella folla di discepoli, che per loro sono estranei, ma che in realtà sono i veri parenti, perché lo ascoltano e gli obbediscono. Si contrappone una parentela secondo lo Spirito a una secondo la carne. Questa è una buona notizia per tutti gli 'estranei', i quali sono chiamati a essere di casa con Dio nella sua misericordia. Ascolto, accoglienza, terra, casa hanno in comune una caratteristica materna, la capacità di ricevere Cristo, parola seminata nei nostri cuori dall''annuncio". Pur essendo noi generati dalla Parola, in qualche modo la generiamo: diamo a lei una dimora, una tenda dove abitare. Come Maria accolse la Parola e la generò al mondo, così il nostro ascolto le da spazio e caratteristiche personali. Mettiamo a disposizione, come Maria, tutto il nostro essere tutto il nostro operare "ecco la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua Parola". L'azione di Dio è sempre molteplice e creatrice di relazioni. E qui ha origine la nostra fraternità, perché l'ascolto dell'unica parola di misericordia del Padre che è nei cieli, ci rende tutti figli suoi, fratelli di Gesù e tra di noi. "Così voi non siete più stranieri, ne ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio".
Un anziano disse: «Se l'uomo fa la volontà del Signore, non finisce mai di udire la voce interiore».
QUELLI CHE PIÙ VOLTE RIPRESI NON VOGLIONO CORREGGERSI Se un fratello, ripreso più volte per una qualsiasi colpa, se anche scomunicato, neppure così si sarà corretto, si usi con lui una punizione più severa, cioè lo si sottoponga al castigo delle battiture. Ma se nemmeno così si vorrà emendare, anzi levatosi in superbia - che non sia mai! - oserà addirittura difendere la sua condotta, allora l'abate agisca come un medico esperto: se ha adoperato i lenitivi, gli unguenti delle esortazioni, i farmaci delle divine Scritture e infine le bruciature della scomunica o delle piaghe delle verghe, e costata ormai che a nulla approdano le sue industrie, faccia ricorso - ciò che vale di più - alla preghiera sua e di tutti i monaci, affinché il Signore, a cui tutto è possibile, operi la guarigione del fratello infermo. Ma se neppure così quegli guarirà, allora l'abate usi senz'altro il ferro dell'amputazione, come dice l'apostolo: «Togliete il malvagio di mezzo a voi» (1 Cor 5,13); e ancora: «Se l'infedele vuole andarsene, se ne vada» (1 Cor 7,15), perché una pecora infetta non contagi tutto il gregge.
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