Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Giovedì 30 marzo 2006

Vi accusa Mosè, nel quale riponete la vostra speranza.

Il Vangelo odierno ci presenta il dialogo aspro e contraddittorio che Gesù ha con alcuni giudei a proposito della sua divinità. Gesù afferma con forza e con passione che egli ha motivo di essere creduto. Dalla sua parte, oltre le opere, che sta compiendo, ha anche la testimonianza di Giovanni Battista. E' chiaro che essi dovrebbero credere; eppure rimane la realtà misteriosa della loro incredulità. "Io – dice – ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni, le opere stesse che il Padre mi ha dato da compiere, le sto facendo e testimoniano di me; ma voi non avete mai udito la sua voce e non avete la sua Parola che dimora in voi, perché non credete a Colui che egli ha mandato". Ogni nostro male viene dal non riconoscere la nostra vera identità di figli. In pratica vogliamo essere pienamente autonomi, padri, di noi stessi, del nostro esistere. Questi giudei, custodi della santità di Dio, non "hanno la parola di Dio che dimora in loro". Eppure "Voi scrutate le Scritture, credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza". Il rifiuto che gli avversari gli oppongono, viene dal fatto che non hanno accolto la rivelazione delle Scritture alle quali, pur si appellano. Infatti chi non ha in sé l'amore di Dio non capisce le Scritture che parlano dell'amore tra il Padre e il Figlio, comunicato agli uomini. Queste parole di Gesù fanno venire alla luce le nostre non poche resistenze. All'origine della nostra incredulità religiosa, c'è il male radicale dell'uomo, che cerca la gloria dagli altri o dalle cose, i nuovi idoli, invece che da Dio. Non si può credere in Dio e affidarsi al suo amore di Padre, chi cerca in sé o in altri la propria identità. Gesù non accusa nessuno: resta sempre la porta aperta per il ritorno di chiunque. E' la stessa legge, alla quale si appellano i suoi oppositori, che li accusa per la loro incredulità, perché, pur leggendo Mosè, non accettano Cristo.


Apoftegmi - Detti dei Padri

Fu domandato a un anziano: «Come avviene che io mi scoraggi senza tregua?». «Perché non hai ancora visto la meta», rispose.


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

QUALE DEVE ESSERE IL CELLERARIO DEL MONASTERO

Come cellerario del monastero sia scelto uno dei membri della comunità che sia saggio, maturo, sobrio, non mangione, non superbo, non turbolento, non insolente, non gretto, non prodigo, ma pieno di timor di Dio e che sia come un padre per tutta la comunità. Abbia cura di tutti; non faccia nulla senza il consenso dell'abate; si attenga agli ordini ricevuti. Non contristi i fratelli; se per caso uno di loro gli chiede qualcosa fuori posto, non lo rattristi respingendolo con disprezzo, ma con buone ragioni e con umiltà dica di no alla sua richiesta inopportuna. Abbia cura della propria anima, memore sempre di quel detto dell'apostolo che chi avrà ben servito si acquisterà un grado onorifico (1 Tm 3,13). Riservi ogni premura con la massima sollecitudine specialmente agli infermi, ai fanciulli, agli ospiti e ai poveri, ben sapendo che di tutti questi dovrà rendere conto nel giorno del giudizio.


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