preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Vi era un funzionario del re che aveva un figlio malato a Cafarnao. Udito che Gesù era ritornato in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere per guarire suo figlio che stava per morire. Gesù è pregato di scendere da Cana a Cafarnao, geograficamente è esatto, ma nel vangelo di Giovanni i richiami teologici fanno sempre da sottofondo. "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo". Gesù gli disse: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete". Non accetta di intervenire per concedere un beneficio, pur necessario, senza suscitare la fede in lui, che chiede, e negli astanti. La fede non è chiedere "segni o prodigi", è credere a Dio per quello che ha già fatto. Il ricordo, molte volte assente, di ciò che ha compiuto in noi nel passato, è motivo sufficiente per credere qui e ora a lui. La salvezza non è la salute, bene tanto prezioso, neppure la rianimazione di un cadavere: la salvezza sta nella fede che fa aderire a colui che è la vera Vita. Il funzionario del re dice l'evangelista, - insistette: "Signore, scendi". Gesù dunque accetta di guarire a distanza. Tuttavia, ecco la delicatezza del Dio che vuole completamente salvarci e non si accontenta di soddisfare il desiderio accorato di questo genitore. Egli vuole mettere fede in questo cuore, e perciò nell'atto stesso di concedere, chiede fede. "Va' tuo figlio vive". Quell'uomo credette e si mise in cammino. "Mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: Tuo figlio vive!" Abbiamo bisogno anche di testimoni, che confermano la nostra totale fiducia nella parola del Signore. La fede come viene dall'ascolto, è sempre e solo fondata sulla Parola, che raccontando la salvezza avvenuta, la dona e la conferma a chi l'ascolta ancora. Nella vita di ciascuno di noi, ogni giorno si rinnova questo itinerario di vita, che ci fa confessare: "Io credo, o Signore, e sulla tua Parola, farò come tu dici".
Un anziano disse: «Se l'uomo fa la volontà del Signore, non finisce mai di udire la voce interiore».
QUELLI CHE PIÙ VOLTE RIPRESI NON VOGLIONO CORREGGERSI Se un fratello, ripreso più volte per una qualsiasi colpa, se anche scomunicato, neppure così si sarà corretto, si usi con lui una punizione più severa, cioè lo si sottoponga al castigo delle battiture. Ma se nemmeno così si vorrà emendare, anzi levatosi in superbia - che non sia mai! - oserà addirittura difendere la sua condotta, allora l'abate agisca come un medico esperto: se ha adoperato i lenitivi, gli unguenti delle esortazioni, i farmaci delle divine Scritture e infine le bruciature della scomunica o delle piaghe delle verghe, e costata ormai che a nulla approdano le sue industrie, faccia ricorso - ciò che vale di più - alla preghiera sua e di tutti i monaci, affinché il Signore, a cui tutto è possibile, operi la guarigione del fratello infermo. Ma se neppure così quegli guarirà, allora l'abate usi senz'altro il ferro dell'amputazione, come dice l'apostolo: «Togliete il malvagio di mezzo a voi» (1 Cor 5,13); e ancora: «Se l'infedele vuole andarsene, se ne vada» (1 Cor 7,15), perché una pecora infetta non contagi tutto il gregge.
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