preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
"In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre". Così leggiamo nel prologo al vangelo di Giovanni e in un altro paso lo steso evangelista ci riferisce le parole di Gesù: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Oggi, dopo che noi credenti in Cristo, siamo stati definiti da Lui "sale della terra" e "luce del mondo" sentiamo forte ed impegnativo la raccomandazione che di conseguenza il Signore ci rivolge a tutti: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli". Ci viene quindi richiesto innanzitutto l'impegno costante per dare sapore e senso alla nostra vita perché non ci accada che, vuota di ideali ed insipida, perda quel bel fascino della conquista e ci faccia ritrovare a quote basse e mortificanti. Dobbiamo perciò lasciarci irrorare dalla luce di Cristo: è lo Spirito Santo ad illuminarci con i suoi doni ed è lo stesso Spirito ad orientare poi le nostre scelte. Soltanto ricevendo Amore da Dio diventiamo a nostra volta capaci di amarlo e di vedere dei fratelli nel nostro prossimo. È ancora la stessa luce divina a convincerci del vero bene e a distoglierci dalle nostre scelte sbagliate. Quando abbiamo così illuminato la nostra vita, ornandola di senso e di pienezza, il sale e luce diventano gli elementi principali della nostra fedeltà a Dio e del nostro impegno di testimonianza nei confronti degli altri. Sarebbe peccaminoso però tenere solo per se i doni di Dio, significherebbe che il sale ha perso il suo sapore e la luce è stata nascosta sotto il moggio. Qualcuno ha pensato e scritto che ancora oggi noi credenti in Cristo non siamo usciti dalle catacombe; domina ancora la paura di quella prima passione, di quella croce, di quel sepolcro e di quella morte. La luce sfolgorante della risurrezione ancora non brilla, nella pienezza della fede, sarebbe ancora in una tomba, "sotto il moggio" e, di conseguenza, non si è irradiata nei cuori degli uomini. Come è urgente ed attuale la richiesta che oggi ci fa il Signore!
Io non temo più Dio, lo amo. Perché l'amore caccia il timore.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Facciamo quel che dice il profeta: «Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; ho posto un freno alla mia bocca mentre l'empio mi sta dinanzi; sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e ho taciuto anche di cose buone» (Sal 38,2-3 Volg.). Qui il profeta ci mostra che, se per amore del silenzio dobbiamo alle volte astenerci dai discorsi buoni, tanto più per la pena del peccato, dobbiamo evitare quelli cattivi. Pertanto, per custodire la gravità del silenzio, ai discepoli perfetti si conceda raramente il permesso di parlare, fosse pure di argomenti buoni, santi ed edificanti; poiché sta scritto: «Nel molto parlare non eviterai il peccato» (Pr 10,19); e altrove: «Morte e vita sono in potere della lingua» (Pr 18,21).
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