preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Ci penetrano nel profondo le urla dei due ciechi del vangelo: il buio degli occhi e, ancor più quello dell'anima, creano lo strazio interiore, quello che induce appunto ad urlare, a chiedere pietà. I ciechi gridano perché ignorano la distanza che li separa dal loro interlocutore. Gesù aveva già dichiarato che lo scopo della sua venuta, come aveva profetato Isaia, è quello di ridare la vista ai ciechi. Fa sì che i due si accostino a lui, è il primo passo da fare per riaprirsi alla luce, è cerca di far scaturire dal loro buio il chiarore della fede e li interroga: «Credete voi che io possa fare questo?». Il loro "si" fiducioso fa sgorgare dal Cristo il dono della vista e la pienezza della fede: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi». Coloro che sono gratuitamente beneficiati dal Cristo, coloro che hanno il dono della fede non possono e non debbono tacere. Così hanno fatto i due illuminati da Cristo, così affermavano i primi apostoli, così anche «noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Per chi crede è necessario, urgente rendere testimonianza di quanto ha ricevuto. E ciò anche perché nessuno è in grado di apprezzare meglio la vista di chi l'aveva perduta e miracolosamente e gratuitamente l'ha recuperata. La fede in noi ha il duplice effetto di rilegarci a Dio, riconoscerlo come creatore e Signore e farci vedere l'altro come nostro prossimo, come fratello. Sono questi i doni dell'avvento: con questa prodigiosa luce andremo alla grotta a contemplare ed adorare il Figlio di Dio, nato per noi. Senza la fede ci attende solo il buio di quella grotta e l'umana fragilità di quel bambino.
Un fratello domando all'anziano: "Come entra nell'anima il timore di Dio?". Disse l'anziano: "se l'uomo è umile, povero, e se non giudica gli altri, il timore di Dio entra in lui".
I MONACI PELLEGRINI Inoltre se l'abate lo giudica degno, potrà assegnargli un posto più elevato. E questo non valga solo per un monaco, ma anche per uno che provenga dai sopraddetti gradi dei sacerdoti e dei chierici: cioè, se l'abate vede che la loro condotta lo merita, potrà elevarli a un posto superiore a quello dovuto per l'ingresso in monastero. L'abate però si guardi bene dall'ammettere nella propria comunità un monaco di altro monastero conosciuto, senza il consenso o le lettere commendatizie del suo abate, perché sta scritto: «Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te» (cf. Tb 4,16; Mt 7,12).
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