preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Nella pericope del Vangelo che oggi la liturgia ci propone troviamo una notizia di cronaca che nello stesso tempo interrompe e conferma quello che Gesù sta dicendo alle folle. Gesù le rimprovera di ipocrisia, di non saper leggere i segni dei tempi e la notizia di questo crimine commesso da Pilato, su quei giudei che stavano sacrificando al Tempio, è proprio il segno che la morte improvvisa ci deve spingere a pensare non al perché della morte, ma, alla nostra conversione. Questi che vengono a riferire la notizia, leggono quest'avvenimento, con gli occhi della carne e pensano come ha rivelato Gesù, che quelli sono morti per i loro peccati. Interpretando così queste morti loro stessi si autocondannano alla stessa sorte perché: "Non c'è infatti sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi" (Qo. 7,20). Gesù li richiama a conversione, cioè a capovolgere il loro modo di lettura raccontando una parabola. In fin dei conti se loro non sono morti non è perché sono giusti ma perché Dio sta usando verso di loro ancora misericordia e pazienza aspettando che diano frutto.
Il fico è Israele, il Padrone è Dio, l'operaio è Cristo. Il fico è sterile, come sterile è l'osservanza della legge e di tutta la precettistica di quel tempo; questa pianta è stata curata ricevendo la Legge, i Profeti, il Tempio e per ultimo lo stesso Figlio di Dio, ma frutti non ce ne sono.
Il contadino intercede chiedendo ancora un anno di grazia; sarà l'anno in cui Cristo ha concimato la pianta con il suo stesso sangue? Cristo intercede per noi presso il Padre come Mosè, come Abramo. La misericordia di Dio è infinita, come infinito è il suo amore per noi, ma la sua misericordia non può salvarmi senza il mio consenso, come dice sant'Agostino: "Lui che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te".
Così il Signore ci invita ancora una volta, oggi, a conversione: "Se oggi ascoltate la sua voce non indurite i vostri cuori", e la sua voce ci richiama nei fatti della vita; come abbiamo già detto anche in quelli più banali. In essi il cristiano intelligente, che sa leggere dentro il fatto, vede la misericordia di Dio per lui.
E la sua voce ci richiama anche a vedere da che parte stiamo quando vediamo o viviamo situazioni che a noi sembrano sterili. Ci ergiamo a puntare il dito? e a dire: "Taglialo" non è giusto che sfrutti il terreno, cioè ci mettiamo noi al posto di Dio giudice? "La valutazione della colpa spetta all'Abate" (RB 24,2) o forse non è che siamo chiamati ad essere piuttosto operai? "E tutti preghino per lui" (RB 27,4).
La preghiera assidua e vicendevole è il concime che nutre il campo della vita comune, il campo del "nostro vicino" affinché portiamo frutti di misericordia gli uni per gli altri ed entrare così tutti insieme nella vita eterna.
Abba Pambo chiese ad Abba Antonio: "Cosa dovrei fare?". L'anziano gli rispose: "Non confidare nella tua giustizia e non preoccuparti del passato, ma controlla la tua lingua e il tuo stomaco".
QUELLI CHE GIUNGONO TARDI ALL'UFFICIO DIVINO O ALLA MENSA Alla mensa poi chi non arriverà prima del versetto, in modo che tutti insieme dicano il versetto e preghino e tutti insieme poi si siedano a tavola, chi dunque non giungerà per negligenza o per cattiva abitudine, sia ripreso fino alla seconda volta. Se ancora non si emenderà, non lo si ammetta a partecipare alla mensa comune, ma, separato dalla compagnia dei fratelli, mangi da solo, privato anche della razione di vino, finché non abbia dato soddisfazione e non si sia corretto. Alla stessa pena sia sottoposto chi non sarà presente al versetto che si dice dopo il pasto.
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