Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Martedì 28 settembre 2004

Il grido...

Dopo Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno; prese a dire: "Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: è stato concepito un uomo!" (Gb3,1-3).
Il servo giusto e retto del racconto precedente sembra essere del tutto scomparso per lasciare il posto a un uomo terribilmente solo, immerso in un oceano di dolore, schiacciato dal peso dell'angoscia più profonda.
Giobbe non è israelita è uno straniero, questo particolare probabilmente sta a significare che in Giobbe si può ritrovare ogni uomo, di qualsiasi razza, religione, condizione sociale, che, oppresso dal dolore, grida senza posa, al cospetto di Dio i suoi "perché", nel tentativo di averne una risposta.
Perché la strage in Iraq, perché le tragedie in Cecenia, perché la sofferenza dei piccoli, dei poveri? Fuori della fede l'uomo risponde alla morte con la morte cioè con la violenza, la vendetta, l'eutanasia, l'aborto, il suicidio…; fuori della fede questi "perché" sono destinati a cadere nel nulla, nel non-senso. Giobbe dà sfogo a tutta la sua disperazione ma, pur vedendo nella morte la soluzione di ogni problema, non pensa di togliersi la vita; senza accusare Dio continua a lottare per avere da Lui una risposta.
Il grido, così intitoliamo il testo di oggi, è lo stesso di Geremia quando tocca il culmine della sua sofferenza; è lo stesso di Gesù sulla croce quando prima di morire gridò a gran voce: "Eli, Eli, lema sabactani" che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).
Gesù sulla croce prende su di sé tutte le angosce, i peccati, i mali del mondo distruggendoli nel suo corpo, Gesù presenta al Padre nel suo grido tutte le lacrime, le atrocità dell'umanità sofferente, le trasforma in preghiera, certo di essere ascoltato ed esaudito. Fattosi obbediente fino alla fine alla volontà del Padre per condividere pienamente la nostra umanità, non è sottratto alla morte ma al suo potere e Dio trasforma questa morte in esaltazione di gloria "per liberare così quelli - cioè noi - che per timore della morte erano soggetti alla schiavitù per tutta la vita" (cfr. Eb2).
La croce di Cristo è dunque la chiave che ci rivela il senso della sofferenza, essa ci apre la porta per accedere alla vita eterna! Dobbiamo imparare a guardare alla Croce come l'unica fonte di salvezza e deporre, per mezzo della preghiera nelle mani di Gesù le nostre pene per vivere con Lui lo spirito delle Beatitudini e per trovare così, proprio nel cuore del nostro dolore, lì dove non vorremo mai entrare, la via che conduce alla vera felicità.
Tutti i più grandi santi e mistici d'ogni tempo da Giovanni della Croce a santa Teresa di Gesù Bambino, a Madre Teresa di Calcutta hanno attraversato periodi di buio sfiorando la disperazione ma, ancorati alla croce di Cristo sono usciti da questo tunnel fortificati, purificati e questo a favore di un mondo lacerato, disperato.
Per concludere facciamo nostra la preghiera di Silvano di Monte Athos a favore del mondo intero che ha tanto bisogno di amore e di compassione: "Consolatore buono con le lacrime agli occhi ti supplico: Conforta le anime angosciate; fa conoscere a tutti i popoli la tua voce soave che annuncia: "vi sono rimessi i peccati". Sì, o Misericordioso, tu solo puoi compiere meraviglie e non ve è meraviglia più grande di questa: amare e perdonare".


Apoftegmi - Detti dei Padri

Alcuni fratelli andarono a visitare un santo anziano che abitava in un luogo deserto. Trovarono presso la sua cella dei bambini che custodivano le greggi e parlavano tra loro in modo fastidioso. I fratelli videro l'anziano, gli palesarono i propri pensieri e trassero beneficio dalle sue risposte. Poi gli dissero: «Padre, perché accetti d'avere intorno questi bambini e non gli ordini di cessare tanto baccano?». L'anziano rispose: «Fratelli, credetemi, vi sono giorni in cui vorrei dare questo ordine, ma mi fermo, dicendo: «Se non sopporto questa bazzecola, come potrei sopportare una più grande prova, se Dio permette che mi si presenti?». Così non dico niente, per abituarmi a sopportare tutto ciò che accade».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

COME DEVONO PUNIRSI I FANCIULLI DI MINORE ETÀ

Ogni età e ogni grado di intelligenza devono ricevere un trattamento adeguato. Perciò i fanciulli, gli adolescenti o coloro che non sanno rendersi conto della gravità della scomunica, tutti questi, ogni qualvolta commettono delle mancanze, siano puniti con rigorosi digiuni o repressi con aspre battiture, perché si correggano.


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