preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
"Ma voi chi dite che io sia?". La risposta degli "uomini" è già ispirata, è già orientativa, ma ancora insufficiente. Vi è una soglia che solo i discepoli (e neppure tutti, per ora, ma solo Pietro) possono varcare: Gesù non è "soltanto uno dei profeti", ma il Messia ovvero, come precisa Matteo, "il Figlio del Dio vivente", cioè il rivelatore unico e definitivo del volto del Padre in mezzo agli uomini. [
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La parte centrale della promessa fatta a Simone sta nel v. 18, con il gioco di parole sul nome personale "Pietro" corrispondente a "pietra" di fondazione (in aramaico, Kefa' non presenta neppure una variazione di genere, a differenza del greco pétros/pétra). Se ci attenessimo a questo solo testo, potremmo essere indotti a credere che la confessione messianica a Cesarea sia stata l'occasione del cambiamento del nome di Simone in Pietro, o che per lo meno sia questo che Matteo intende dire. Ma a parte il fatto che in Marco l'imposizione del nome "Pietro" avviene già al momento dell'istituzione dei dodici (Mc 3, 16) e in Giovanni addirittura al momento della sua chiamata (Gv 1, 42) nello stesso Matteo l'uso di questo nome è abituale anche prima della circostanza presente. Dunque il testo di Mt 16, 18 non serve a giustificare tale cambiamento. Serve piuttosto a spiegarlo: in altre parole, è un midrash sul nome di Pietro. Un midrash di cui possiamo facilmente spiegare la fonte in un passo isaiano: Is 28, 14-18.
Almeno due grandi idee-guida del testo mattano dipendono dal testo di Isaia: la posizione della pietra angolare in Sion, e l'alleanza con gli inferi, lo she'ol, che non prevarrà, cioè non sarà più forte. [
] Isaia si riferisce all'alleanza con l'Egitto, in prospettiva antiassira, consigliata dai dirigenti politici del suo tempo. Per il profeta si tratta di una mancanza di fede nel soccorso divino, che finirà col volgersi contro chi l'ha contratta, come un boomerang. È molto probabile che Matteo attualizzi questo tema nel caso del giudaismo rabbinico del suo tempo. [
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Per Isaia la pietra posta in Sion è la pietra angolare della ricostruzione di Gerusalemme e del tempio; per Matteo la chiesa fondata sulla confessione petrina è la dimora di Gesù e il nuovo tempio. [
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Dopo questo, in Marco, Gesù "ammonisce" i discepoli perché non parlino di lui con nessuno. Silenzio totale e rigoroso. In Matteo, Gesù si limita a "dare disposizione" ai suoi discepoli perché non dicano a nessuno "che egli è il Messia". Il silenzio verte solamente sulla qualità messianica. Egli dunque è un Messia già riconosciuto eppure non ancora da confessare. Il messianismo di Gesù rimane una qualità ancora tutta da precisare. [
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Pietro quando ha chiamato Gesù "Messia", probabilmente non s'è nemmeno chiesto fino in fondo che cosa volesse dire. Adesso che Gesù comincia a spiegarglielo, non solo si ritrae ma trae Gesù in disparte e "comincia a redarguirlo" come si farebbe con un bambino. Pietro, che poco prima era stato detto beato proprio per la sua innocenza di piccolo cui il padre rivela i suoi misteri, adesso diventa il grande, sicuro di sé, che non pensa più secondo Dio ma fa i calcoli degli uomini. Pretende che un simile destino di rifiuto e di morte sia antitetico, inconciliabile col messianismo che ha appena confessato. Poco prima era stato detto da Gesù "pietra" di fondazione, adesso viene chiamato "scandalo", ossia pietra di inciampo. Pietro ha un indubbio primato tra i dodici, ma tale primato è fortemente ambivalente, è in bonam come in malam partem. Verrebbe sempre da chiedersi quale Pietro? Quello del v. 17 o quello del v. 23, quello detto beato o quello chiamato satana? La reazione petrina al primo annunzio della passione non annulla ma ridimensiona il macarismo di Gesù dopo la confessione messianica, ci consente di coglierlo in una luce più vera. L'unico vero fondamento della chiesa è Gesù stesso, è l'interpretazione del messianismo che lui stesso ci ha dato con il suo insegnamento, ma soprattutto con la sua morte e la sua risurrezione: nessuno può mettere un fondamento altro da questo (cf. 1Cor 3, 11)
(da A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon 1995, 294-300)
"L'abba Poimen disse: 'Quando medito, tre misteri si presentano ai miei occhi: che è cosa buona pregare senza sosta in ogni tempo davanti al Signore; porre la mia morte sotto il mio sguardo, ogni momento; e pensare che quando morrò sarò gettato nel fuoco a causa dei miei peccati'" Ma Dio mi sarà misericordioso.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Perciò tali monaci, lasciando immediatamente le loro cose e rinunziando alla propria volontà, liberate subito le mani e lasciando incompiuto quanto stavano facendo, con piede pronto all'obbedienza, adempiono con i fatti la voce di chi comanda. E così tutte e due le cose, cioè l'ordine del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo, si compiono insieme, prestissimo, quasi in uno stesso momento, con quella velocità ispirata dal timor di Dio: è l'anelito di camminare verso la vita eterna che li incalza. Perciò essi intraprendono la via stretta di cui il Signore dice: «Angusta è la via che conduce alla vita» (Mt 7,14); di modo che, non vivendo a proprio arbitrio e non regolandosi secondo i propri gusti e le proprie voglie, ma lasciandosi guidare dal giudizio e dal comando altrui, rimanendo stabili nel monastero, desiderano che un abate li governi. Senza dubbio uomini simili fanno proprio quel detto del Signore: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38).
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