Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Venerdì 03 ottobre 2003

Guai a te, Corazim

Oggi il Vangelo ci presenta delle dure parole di Gesù le parole rivolte contro le città, che pure Egli ama. E' stato il destino anche dei profeti dell'Antico Testamento, quando, sotto l'invito del Signore richiamavano alla conversione Gerusalemme, che è invece rimasta sorda a tali voci. Gesù è in viaggio proprio verso la stessa Gerusalemme e sa che lì troverà l'odio e l'invidia di alcuni suoi concittadini. La sua missione d'amore si scontrerà nell'incomprensione proprio delle persone a lui più vicine. Sarà il centurione romano, infatti a proclamare poi la divinità di Gesù, nel momento supremo della sua morte; sarà un ladrone a chiedere il perdono al Signore perché vuole essere in Paradiso con Lui. Inchiodato sulla croce, Gesù accoglie l'appello del ladrone e ne accetta la conversione, ed ancora, chiede al Padre il perdono per i suoi uccisori. Ricordiamo sempre che l'amore misericordioso del Padre, manifestato sulla croce del Figlio, è sempre pronto al perdono e leggiamo il brano di oggi proprio come un appello finale alla conversione, un appello d'amore di chi sa di non essere ascoltato. Questo appello è presente anche oggi; per noi che leggiamo le parole di Cristo vi è l'invito ad ascoltare le sue parole per accettare la sua missione. Gesù ci invita ad ascoltare le sue parole proprio come i profeti; la missione del Figlio è però superiore a tutte quelle che lo hanno preceduto e l'invito per noi, oggi, deve coinvolgerci ancor di più!


Apoftegmi - Detti dei Padri

L'abba Antonio predisse all'abba Amun: «Tu farai molti progressi nel timore di Dio». Poi lo condusse fuori dalla cella e gli mostrò una pietra: «Mettiti a ingiuriare questa pietra», gli disse, «e colpiscila senza smettere». Quando Amun ebbe terminato, sant'Antonio domandò se la pietra gli avesse risposto qualcosa. «No», disse Amun. «Ebbene! anche tu», aggiunse l'anziano, «devi raggiungere questa perfezione».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

SE I MONACI POSSONO AVERE ALCUNCHÉ DI PROPRIO

Nel monastero bisogna estirpare fin dalle radici soprattutto questo vizio: che nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell'abate; né avere alcunché di proprio, nulla nel modo più assoluto: né libro, né tavolette, né stilo, proprio niente insomma; dal momento che ai monaci non è lecito disporre nemmeno del proprio corpo e della propria volontà. Tutto il necessario invece lo devono sperare dal padre del monastero; e non sia lecito avere alcuna cosa che l'abate non abbia data o permessa. Tutto sia comune a tutti - come sta scritto - e nessuno dica o ritenga qualcosa come sua proprietà (At 4,32). E se si scoprirà un fratello che asseconda questo pessimo vizio sia ripreso una prima e una seconda volta; se non si corregge, sia sottoposto alla disciplina regolare.


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