preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Un salmista, un cantautore d'altri tempi, rivolgendosi a Dio, afferma: "Nella tua luce vediamo la luce". Ciò è sempre vero; non può la mente umana penetrare nei pensieri divini e comprenderne la portata. Ancor meno l'uomo può ergersi a giudice della infinita sapienza che sgorga dalla bocca di Cristo. Si rischia di ridurre alle nostre categorie le grandi verità che ci vengono rivelate, deformandole nei contenuti essenziali. È ciò che accade al Signore dopo il lungo e solenne discorso sul pane di vita. La sublime proposta di Cristo di farsi cibo e bevanda di vita, viene definito dai suoi più intimi seguaci "discorso duro", incomprensibile, assurdo. Gli stessi discepoli vanno mormorando tra di loro: "«Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Denunciano così la debolezza della loro fede e alcuni di loro giungono a pensare che non valga più la pena di seguire quel maestro che tali proposte va enunciando. La ragione, le ragioni umane possono giungere a spegnere perfino l'amore infinito che Dio vuole donarci e addirittura a confonderlo con l'irragionevole e l'assurdo. Gesù così spiega ai suoi, a tutti coloro che presumono di capire con la sola forza della ragione umana: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». Venire a Cristo, accoglierlo in semplicità di cuore in tutta la sua verità, è un dono del Padre, è una illuminazione dello Spirito Santo, è la fede ben alimentata dalla incessante preghiera. È una meta che non può essere raggiunta con "la carne" che a nulla giova e spesso diventa un ostacolo. Nessuna mente umana potrà mai comprendere come Cristo possa nutrire con il suo corpo e il suo sangue tutte le generazioni che parteciperanno con fede al suo eterno sacrificio, celebrato sugli altari del mondo. Come possa Egli moltiplicare all'infinito quel dono annunciato ai suoi, celebrato in una cena, consumato sul golgota, sublimato nella sua risurrezione e poi affidato ai suoi ministri e alla sua chiesa come un memoriale. Ciò che risulta incomprensibile diventa limpido e chiaro alla luce della fede e il mistero, che sempre tale rimane, si svela quando l'esperienza l'illumina e la vita stessa lo testimonia in tutta la sua infinita ricchezza.
Come pregare? «Alcuni chiesero al padre Macario: "Come dobbiamo pregare?". L'anziano rispose loro: "Non c'è bisogno di dire vane parole, ma di tendere le mani e dire: - Signore, come vuoi e come sai, abbi pietà di me. Quando sopraggiunge una tentazione, basta dire: - Signore, aiutami!. Poiché egli sa cosa è bene per noi e ci fa misericordia".
L'UMILTÀ Il dodicesimo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco non solo è umile nel suo cuore, ma anche nell'atteggiamento esteriore dà sempre prova di umiltà a chi lo osserva; e cioè: durante l'Ufficio divino, in chiesa, all'interno del monastero, nell'orto, per via, nei campi, dappertutto insomma, stando seduto o camminando o in piedi, tiene sempre il capo chino e lo sguardo fisso a terra; ritenendosi sempre colpevole per i suoi peccati e i suoi vizi e vedendosi già comparire di fronte al tremendo giudizio di Dio; e ripete continuamente in cuor suo ciò che, con gli occhi fissi a terra, diceva il pubblicano del vangelo: «Signore, non sono degno io peccatore di alzare gli occhi al cielo» (cf. Lc 18,13); e ancora col profeta: «Mi sono curvato e umiliato fino all'estremo» (Sal 37,9 Volg.).
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