Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Lunedì 17 luglio 2017

Lo straniero.

La settimana scorsa abbiamo già preso in considerazione il tema dell’altro. E oggi, le letture sembrano sottolinearne una particolare modalità: l’essere “straniero”. L’Esodo ci mostra la paura degli egiziani nei confronti del popolo d’Israele, tale fobìa era del tutto ingiustificata, infatti gli ebrei non avevano certo raggiunto il grado di civiltà degli egiziani e non ne costituivano una minaccia né sul piano politico né su quello culturale. Ma gli egiziani vivono la presenza degli ebrei come un attentato alla forza del loro stato, come una minaccia per il loro territorio. È una storia conosciuta e anzi, vissuta al presente da molti stati occidentali che sentono la presenza dello straniero come un attentato alla civiltà, al costume, al benessere, “gli stranieri tolgono lavoro quando diventano troppo numerosi”, è uno dei commenti più benevoli che spesso ci capita di sentire. Quanto è differente il Vangelo e quanto è dimenticato dai cristiani! Non solo siamo chiamati a farci “stranieri”, non possedendo più né gli affetti più cari né la vita stessa, ma dobbiamo accogliere l’altro, perché l’altro è Gesù stesso. In questo senso proviamo a fermarci sul commento di A. Louf come commento: “non ci sono mai doveri di carità, non ci sono doveri d’amore. Esiste semplicemente l’amore, l’amore che segue il suo corso, che trabocca, che in mille modi si studia di provare che ama, senza chiedere altro di poter amare. Non possono mai esservi prossimi che siano nostri, che ci appartengano, poveri che siano affidati alla nostra benevolenza e alla nostra generosità per poter provare, grazie a loro, come il dottore della legge del vangelo, fino a qual punto siamo giusti”. Siamo tutti a tutti, stranieri o vicini, prossimi a chi ha bisogno del nostro aiuto.


Apoftegmi - Detti dei Padri

Disse abbà Longino: «Da' il sangue e ricevi lo Spirito»


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

QUALE DEVE ESSERE L'ABATE

Quando dunque uno assume il titolo di abate, deve guidare i suoi discepoli con un duplice insegnamento: cioè, tutto quello che è buono e santo mostrarlo più con i fatti che con le parole; in modo da proporre con le parole i comandamenti del Signore ai discepoli più maturi, invece ai duri di cuore e ai più rozzi mostrare con il suo esempio i precetti divini. Quanto poi avrà indicato ai suoi discepoli come contrario alla legge di Dio, dimostri con la sua condotta che bisogna evitarlo, perché non gli accada che, mentre predica agli altri, non sia trovato riprovevole proprio lui (cf. 1 Cor 9,27), e che un giorno Dio non debba dirgli a causa dei suoi peccati: «Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle?» (Sal 49,16-17); e ancora: «Tu osservavi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, ma non ti sei accorto della trave che era nel tuo» (Mt 7,3).


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